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Il prosumerismo di Giampaolo Fabris

a cura di Avatar photo

Tra le tante definizioni con cui si è voluto descrivere il consumatore e la pratica del bricolage, quella che è perdurata più a lungo nel tempo è raccolta nella parola “prosumerismo“.

Un anglicismo portato in Italia per la prima volta da Giampaolo Fabris sulle pagine del numero del 13 gennaio 1985 del settimanale L’Espresso.

Nato a Livorno nel 1938, Fabris era già a quel tempo considerato come uno dei massimi esperti delle tendenze e degli orientamenti del consumo e del consumatore.

Oggi Giampaolo Fabris è professore ordinario di Sociologia dei Consumi all’Università IULM di Milano e presidente del corso di laurea in Relazioni Pubbliche, oltre a svolgere attività di consulenza per grandi gruppi industriali italiani, aziende multinazionali e governi stranieri e di collaborazione con molti quotidiani e riviste italiane e straniere.

Il testo dell’articolo di Fabris

“Il prosumerismo si sviluppa ora su basi assai diverse, sia per i settori in cui si manifesta, sia per i soggetti che coinvolge (sempre più numerosi e non riconducibili agli schemi della laboriosità manuale), sia per le motivazioni che lo giustificano.

Con il prosumerismo ciascuno torna a fare il produttore di tutta una serie di beni destinati al suo personale consumo, sottraendo una quantità di scelte ai tradizionali circuiti fra produzione e mercato.

Così si può calcolare che oggi oltre un quinto della popolazione italiana sia interessata a questo fenomeno, in una gamma di settori già molto ampia e destinata a dilatarsi ulteriormente in futuro.

Si torna a fare le conserve e le marmellate in casa e non soltanto per rendere omaggio ad uno dei più antichi impegni del lavoro domestico.

Lo stesso discorso si può fare per la pasta (e alcune industrie italiane stanno costruendo piccole fortune sulle macchine per fare la pasta in casa).

Accanto alla pasta si tornano a produrre artigianalmente numerosi alimenti – dai gelati ai surgelati – la cui produzione in passato era tutta industriale.

Il mercato dei cibi per bambini (si pensi agli omogeneizzati o ai succhi di frutta per esempio) trova ora un’accesa concorrenza in centrifughe, frullatori, tritatutto ed altri elettrodomestici, sempre più usati in casa per preparare alimenti per i propri figli.

E si va ingrossando l’esercito di quanti trasformano il giardino (o parti del giardino) in orto, o coltivando ortaggi e frutta sul terrazzo di casa.”

La medesima logica di approccio, Giampaolo Fabris la descrive anche riguardo al settore dell’abbigliamento, con la riscoperta del cucito, del ricamo e del lavoro a maglia e a quello della cura della persona, con permanenti e tinture per capelli fatte direttamente nel bagno di casa con l’aiuto di un’amica.

Mentre fuori casa l’automobilista tende a sostituirsi al meccanico per alcune riparazioni della propria vettura.

Infine, Giampaolo Fabris chiude il suo articolo rispondendo ad una domanda estremamente importante.

I motivi del prosumerismo

“Quali sono le motivazioni che accompagnano questa nuova figura sociale, quali bisogni il prosumer soddisfa? Certamente quelli pratici ed economici, che pure l’hanno originato, non sono i soli e, forse, nemmeno i più importanti.

L’esigenza di una produzione specifica per le proprie necessità che sono sempre, in qualche modo, diverse da quelle degli altri, costituisce una delle principali ragioni del prosumerismo.

Smentendo una solida tradizione sociologica che vedeva nella crescente massificazione dei consumi e degli stili di vita lo sbocco obbligato delle società industriali avanzate, il consumatore chiede ora con insistenza prodotti e servizi che riflettano la sua personalità, nei quali sappia riconoscersi.

Perciò comincia a guardare con diffidenza l’omologazione dei propri bisogni a presunti standard medi; e comincia a manifestare sospetti nei confronti di prodotti o marche di massa.

Il passo successivo, quasi obbligatorio è quello di trasformarsi in piccolo produttore per garantirsi una migliore soddisfazione delle proprie esigenze.

Ancora: il prosumerismo esalta la creatività non più come appannaggio esclusivo di pochi artisti, ma come una potenzialità presente in ciascuno di noi, da coltivare e arricchire.

Si tratta di inventare soluzioni nuove, originali, del tutto coerenti e in sintonia con i propri gusti, piuttosto che recepire passivamente quelle standardizzate dalla produzione industriale.

Inoltre il prosumer trova nel recupero della manualità un incentivo a un ruolo più attivo come produttore.

Produrre da soli i beni significa, infatti, esprimere anche una manualità altrimenti inespressa.

E l’autoproduzione, quando questa non si identifica con il lavoro, può diventare in qualche modo anche un gioco.

Un divertimento per adulti che ci permette di esprimere come produttori quei contenuti di piacere che sembravano aver divorziato per sempre dall’homo faber.”

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