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Open source 5: una giornata a Milano con Josh Berkus

a cura di Bricoliamo.com Avatar photo

Il tempo è uggioso e Josh Berkus ci aspetta sul sagrato del Duomo di Milano con due ombrelli: uno, grande, aperto e l’altro, piccolo, chiuso.

Un saluto, una battuta e l’aria è subito riscaldata dalla fragorosa risata di Josh, una risata inequivocabilmente americana, potrebbe essere quella di Pietro Gambadilegno, nemico giurato di Topolino.

Tra una visita al Duomo, un risotto alla milanese e un giro al Castello Sforzesco ci ha raccontato cose curiose e interessanti.

Josh Berkus è uno dei portavoce della filosofia e della pratica dell’open source nel mondo. La sua specializzazione riguarda i database e in particolare il software libero PostgreSQL.

La sua esperienza è interessante perché negli ultimi anni ’90, quando ancora lavorava come consultant di software Microsoft è gradualmente passato al mondo opensource per motivi professionali.

Gli abbiamo chiesto come.

“Non ero contento del modo in cui lavoravo – spiega Josh Berkus -. I miei clienti pagavano 2.000 dollari per Microsoft SQL Server e nonostante questo il sistema si bloccava spesso procurando disagi e ulteriori costi per il mio intervento. Fu in quel periodo che cominciai ad avvicinarmi a Linux (un sogno, non si bloccava mai) e ai sistemi opensource. Il primo database che presi in considerazione fu MySQL che aveva una doppia licenza: una libera e una a pagamento. Purtroppo quella libera era piuttosto limitata e supportava solo una piccola parte del linguaggio SQL.

Il tuo passaggio dal software chiuso e a pagamento al software libero è stato graduale o c’è stato un momento di rottura?

Un momento molto importante c’è effettivamente stato. Nel 1999 mentre lavoravo con SQL Server di Microsoft ho trovato un bug di programmazione. Naturalmente l’ho segnalato e il risultato fu che la mia mail fu cancellata dal report dei bug segnalati. In sostanza non avevano intenzione di porre rimedio all’errore. Nello stesso periodo stavo parallelamente lavorando e utilizzando PostgreSQL e anche in quel caso scoprii un bug. Anche questa volta lo segnalai, ma in questo caso nell’arco di sei ore fui contattato da Tom Lane (l’uomo che nel core team è il punto di riferimento per l’assistenza) che mi indicò la correzione da utilizzare per porre rimedio al problema. Devo dire che quello fu un momento che condizionò pesantemente tutte le mie scelte future.

In che modo?

Ho iniziato a lavorare e a utilizzare Open Office e PostgreSQL, ma senza svilupparlo. Dal 2003 ho invece deciso di passare definitivamente a PostgreSQL perché ho capito che era importante per il mio business. I miei clienti avevano bisogno di versatilità, velocità e bassi costi. Tutte caratteristiche impossibili da trovare nel software chiuso. Con PostgreSQL avevo la possibilità di correggere direttamente gli errori e risolvere i problemi che si potevano incontrare, dando così anche un contributo per tutti nel miglioramento del software. Un meccanismo che mi consentiva e che tuttora consente di poter garantire al cliente il massimo livello di qualità al miglior prezzo (il software non ha costo, si paga il programmatore per l’installazione e la manutenzione – n.d.r.).

Dopo averlo usato da professionista sei anche entrato a far parte del core team di PostgreSQL. Com’è andata?

Era il 2003 e il core team aveva capito che era necessario pensare alla promozione di PostgreSQL presso i programmatori di tutto il mondo. Io sono andato a ricoprire quel ruolo, un ruolo che ricopro peraltro anche oggi. Per questo sono a Milano.

Andare in giro per il mondo a promuovere l’open source e PostgreSQL non è male. In quali Paesi sei stato quest’anno?

Direi in giro per gli Stati Uniti, in Germania, Brasile, Giappone, Cina, Italia, India … ti bastano o devo ricordarne altri?

Mi bastano. A questo punto però, non per farmi i fatti tuoi ma per capire, mi sorge spontanea una domanda: se PostgreSQL, nello spirito dell’open source non è una società ma un gruppo di programmatori e sviluppatori, chi paga tutti questi tuoi viaggi?

Ogni membro del core team lavora per una società legata in qualche modo alla filosofia e al mondo dell’open source. Nel mio caso lavoro per Sun Microsystem, la quale comprende nel suo sistema operativo Solaris, proprio PostgreSQL. Non solo. Sun Microsystem è una delle società che negli ultimi cinque anni è gradualmente migrata verso il mondo e la filosofia dell’open source, quindi ha tutto l’interesse a promuoverlo e a diffonderlo.

Riassumendo: i sistemi open source sono gratuiti, funzionano meglio, sono sostenuti da grandi aziende multinazionali, hanno il meglio dei programmatori, vengono quotidianamente aggiornati e migliorati dagli sviluppatori di tutto il mondo che li utilizzano e allora perché il software chiuso e a pagamento è ancora così più diffuso rispetto al software libero?

In primo luogo il fenomeno del software libero è relativamente giovane e quindi occorre tempo perché le persone si convincano a cambiare. Inoltre bisogna tenere conto che le grandi aziende del software chiuso e a pagamento, come Microsoft, Oracle, IBM, ecc. investono moltissimi soldi ed energie in marketing. Per vincere contro le loro importanti campagne pubblicitarie occorre tempo e tanto lavoro.

Però se parliamo di Sun Microsystem non parliamo di una piccola realtà, avrebbe tutte le possibilità e i denari per attivare le stesse leve di marketing del mondo chiuso. Perché non viene fatto?

Questo bisognerebbe chiederlo a Jonathan Schwartz , il CEO di Sun. Certo è che la leva del marketing agevolerebbe moltissimo la diffusione della conoscenza dei vantaggi del software libero. Per il momento deve bastare il mio impegno e quello di altri colleghi di buona volontà. D’altro canto bisogna anche tenere conto che la proposta open source è nuova per tutti, anche per le aziende che la sostengono: basti pensare che queste aziende sostanzialmente spendono denaro ed energie per promuovere e sviluppare prodotti che di fatto non solo di loro proprietà. Per un imprenditore tradizionale questo è un concetto difficile da digerire. Oracle e Microsoft non lo hanno ancora capito, eppure non sono stupidi. Si tratta di mettere al centro la qualità e la soddisfazione del cliente e non il marketing e le vendite. Quando questo verrà compreso l’open source non potrà altro che essere vincente e soprattutto profittevole per tutti.

Sei stato convincente. Però prima di chiudere mi devi togliere una curiosità: perché i manager dell’open source portano capelli lunghi, barba e non indossano mai la cravatta?

(Fragorosa risata). In primo luogo perché la maggior parte dei programmatori lavora da casa e quindi non ha bisogno di indossare la “divisa” da ufficio. Ma soprattutto perché lo stereotipo del programmatore, quanto meno negli U.S.A., lo vuole con i capelli lunghi, la barba mai perfettamente rasata ma soprattutto con una t-shirt che riporti una scritta, una frase incomprensibile. Se non ti presenti così non sei credibile. Nel 1996 andai da un potenziale cliente vestito come un vero manager: non riuscii ad ottenere il lavoro perché non fui giudicato credibile. Mi mancavano la t-shirt e i sandali. Non ho mai più commesso quell’errore.

Settembre 2007

Nella foto: Josh Berkus, a sinistra e a destra il nostro Federico Campoli.

Gli articoli della serie OPEN SOURCE sono stati scritti grazie alla preziosa e indispensabile collaborazione di FEDERICO CAMPOLI, esperto di tematiche opensource , consigliere del Prato Linux User Group e ideatore del progetto PostgreSQL Day 2007.

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