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Capitolo 7. Le donne e la decorazione

a cura di Avatar photo

Alla fine degli anni ’80, dopo il riflusso in quanto reazione e chiusura di un ventennio di impegno sociale, si passa dalla riscoperta del privato alla ricollocazione del privato nel branco.

Si aprono i salotti, si organizzano feste, la vita notturna brulica in tutte le grandi città, gli eventi musicali, culturali e le occasioni d’incontro si moltiplicano.

Sono anni in cui i consumi crescono in maniera superiore rispetto al PIL: + 3,6% contro il + 2,3% medio annuo. Il fai da te non è più di moda (non che lo sia mai stato, a onor del vero) e l’immagine dell’hobbista del fai da te subisce una serie di duri colpi. Le più pungenti, come spesso accade, sono le donne e le mogli, che nel frattempo, grazie alla nascita della grande distribuzione specializzata avevano potuto cominciare ad avvicinarsi ad un mondo fino ad allora precluso (i negozi di ferramenta dell’epoca tutto erano fuorché accoglienti e disponibili con le clienti donne, le quali, peraltro si guardavano bene dal frequentarli).

Già nel 1989 un test eseguito dalla rivista Largo Consumo presso lo storico BricoCenter di Venaria, rilevava come la percentuale di uomini che frequentavano il punto vendita fosse del 78,4% contro un 21,6% di donne.

L’anno dopo, nel 1990, Amedeo Vinciguerra, uno dei pionieri tra i manager della grande distribuzione del bricolage con l’insegna BricoCenter, nell’ambito di un convegno svoltosi all’interno di MITECH in Fiera Milano (per la precisione nei padiglioni di Lacchiarella), dichiarò che i consumatori dei BricoCenter erano per il 70% uomini e per il 30% donne.

La dissacrante e massacrante analisi delle donne sull’hobby del fai da te nell’accezione consolidata in 15 anni di elaborazione concettuale tutta maschile, è ben rappresentato dall’articolo che vi propongo di seguito apparso su Gioia Casa nel maggio del 1992 dal titolo: “Vivere con un marito bricoleur“.

La penna era quella di M. Antonietta Schiavina.

Si riconosce a prima vista non appena si avvia con passo deciso verso casa. Carico di pacchettini, sacchetti, borse di nylon odorose di colle e vernici, l’aria di chi con la sua opera deve assolutamente salvare il mondo. Un bacio distratto alla moglie, un buffetto veloce ai bambini, uno sguardo distratto a ciò che sta avvenendo in cucina, quel tanto che basta per pregustarsi cosa metterà sotto i denti nei dieci minuti che si concederà per la cena (tra un fai da te e l’altro), una puntata velocissima in bagno per rinfrescarsi e infilarsi tuta e scarpe da tennis.

Poi, sparisce come d’incanto, in una stanza quasi sempre dedicata a lui (un uomo che ritorna alla sera dal lavoro, stanco e stressato, ha bisogno dei suoi spazi per esprimersi!) e, quando, ahimè, la casa non è abbastanza grande, si “rinchiude” in un angolo assolutamente vietato al resto della famiglia dove, con l’aria di chi è perennemente vittima del destino e senza il benché minimo rimorso per aver tolto spazio a cose più importanti, esprime la sua creatività.

E dal momento in cui il nostro si immerge nel suo “lavoro”, in casa può accadere di tutto, ma nulla, neppure la più apocalittica catastrofe, turberà l’ispirazione del bricoleur che, a testa bassa, sigaretta in bocca consumata fino al filtro (non c’è infatti neppure il tempo di posarla nel portacenere), occhiali in punta di naso, mano decisa di chi con il fai da tè è convinto di compiere una missione, parte in quarta e senza ritegno a limare, a martellare, a trapanare, a incollare, canticchiando o fischiando quasi sempre lo stesso ritornello.

Inutile dire che riempirà di polvere e schizzi di vernice tutto ciò che gli sta intorno e si stupirà quasi al limite dell’offesa se qualcuno timidamente tenterà di fermarlo, annunciandogli a fil di voce che la cena si sta raffreddando, che i bambini devono finire i compiti e dargli la buona notte o che, peggio ancora, la lampadina del salotto è bruciata e occorrerebbe sostituirla al più presto.

Il bricoleur infatti, quando è all’opera, non ha orari, non sente i morsi della fame, non si ricorda più di aver moglie e bambini ma, soprattutto, non può minimamente perdere tempo a sostituire lampadine bruciate.

Che si chiami un elettricista per questo.

Lui ha davvero altro a cui pensare, anche perché finalmente, dopo tanti sacrifici da parte sua, quando l’opera in creazione sarà terminata, tutta la famiglia potrà  goderne e orgogliosamente annunciare ad amici e parenti il “lieto evento”.

Peccato che, a conti fatti, fra attrezzature, ore perse, spazi occupati, eccetera, il risultato non sarà certo a prova di risparmio.

Ma cosa importa? Un uomo deve pure scaricare le sue tensioni.

E il bricolage, siamo sinceri, dopotutto in questo senso è davvero il male minore”.

In sostanza l’hobbista del fai da te è un povero deficiente che si diverte a giocare con i suoi pezzetti di legno che però, è sempre meglio del gioco d’azzardo, delle corse di cavalli, del whisky al bar e di tante altre deviazioni tipiche del sesso maschile quando è sotto stress.

E’ evidente che i primi anni ’90 segnalano la necessità di un ripensamento e di un riposizionamento delle logiche che fino ad allora avevano retto la filosofia di base del mercato italiano del fai da te.

Sono proprio le donne, con la loro frequentazione dei centri fai da te delle catene di grande distribuzione e con un rinnovato impegno verso una manualità orientata verso la decorazione (decoupage, stencyl, batik, ecc.), che indicano una strada nuova nell’interpretazione del bricolage.

Quello che oggi viene da tanti definito come il “bricolage creativo“.

Non è un’alternativa al vecchio fai da te, dominato dalla lavorazione del legno, bensì è un nuovo approccio che ad esso si va ad affiancare, pur se con le dovute distanze.

Nel febbraio del 1995 nasce la manifestazione fieristica Decorare per iniziativa di Fiera Milano, nei meravigliosi padiglioni della sua partecipata Villa Erba Spa.

Le donne si rivelano sin dalla prima edizione le protagoniste assolute: la scelta della decorazione, sia essa di alto livello con la scelta del decoratore (che a volte dovrebbe essere considerato come un vero artista) la cui opera si rivela più in linea con il gusto della famiglia e lo stile della casa, oppure di più semplice e autonoma esecuzione (il bricolage creativo), è tutta appannaggio della donna, che si aggira nei padiglioni e tra gli stand di Decorare con una dimestichezza e familiarità uniche.

La nuova manifestazione fieristica, che animerà con successo il mercato per quattro edizioni, fino al 1998, andando a raddoppiare sia il numero degli espositori che dei visitatori, fa emergere, forse anticipando i tempi, una delle problematiche fondamentali del bricolage moderno.

Infatti gli organizzatori di Decorare vollero uscire dalle logiche del fai da te, mettendo al centro dell’attenzione la casa in quanto bene comune a tutta la famiglia.

In questo senso gli espositori di Decorare erano sostanzialmente divisi in due grandi famiglie: la prima comprendente gli artigiani/artisti che mostravano le loro meravigliose opere (trompe l’oeil, affreschi, mosaici, ecc.) e le aziende con una gamma di prodotti professionali destinati proprio agli artigiani; la seconda invece comprendeva i prodotti destinati alla decorazione fai da te, quindi le aziende appartenenti al mercato delle belle arti.

Già, i produttori storici del mercato italiano del fai da te non esponevano a Decorare, probabilmente perché in quegli anni il bricolage creativo non era considerato bricolage. In un comunicato stampa del 1995 della manifestazione si può decodificare la problematica.

Il ritardo che caratterizza il mercato italiano del bricolage – spiegava l’organizzazione di Decorare – rispetto agli standard degli altri Paesi europei, appare ancora più evidente se si considera specificamente il comparto della decorazione. Un ritardo determinato fondamentalmente dal fatto che in Italia il mercato della decorazione non ha ancora trovato una sua precisa identificazione e collocazione: sono pochissime le aziende che investono in “decorazione” e, come è già successo nel mercato italiano del bricolage, sono le catene di grande distribuzione che hanno capito l’opportunità e iniziano ad utilizzare il verbo “decorare”. In Francia, ad esempio, il mercato del bricolage è suddiviso in tre comparti ben distinti: il bricolage pesante (materiali per l’edilizia, carpenteria, ecc), il bricolage leggero (materiale elettrico, utensileria manuale, elettroutensili, ferramenta, ecc) e la decorazione (rivestimenti per pavimenti, soffitti, tappezzerie, pitture e vernici, colle, accessori per il bagno, ecc). Dove la decorazione realizza un volume d’affari sell out di circa 13 miliardi di franchi su un totale di circa 80 miliardi di franchi globali. In realtà, pur non essendo ben identificato commercialmente, i consumatori di prodotti per la decorazione in Italia esistono e sono in continuo aumento. A questo proposito, è importante sottolineare che il mercato della decorazione deve essere allargato anche a tutti gli interventi di decoro realizzati da professionisti chiamati dalle famiglie italiane a dare personalità alla propria casa, ad esempio con stucchi, trompe l’oeil, restauri, affreschi, mosaici, ecc. Secondo i dati dell’ANVIDES (Associazione delle Imprese di Restauro, Coloritura, Decorazione, Stuccatura, Verniciatura e Finitura in genere) le richieste di interventi di decorazione e di restauro sono aumentate sensibilmente negli ultimi anni e rappresentano un’importante opportunità di diversificazione del fatturato di quelle imprese che, a causa della crisi edilizia del “nuovo”, hanno trovato nella ristrutturazione una via di uscita all’attuale difficile momento congiunturale. Allo stesso modo, sono in continuo aumento anche gli interventi semplici, eseguiti direttamente dai  privati nell’ambito della propria abitazione (stencyl, decoupage, bricolage creativo). L’aumento delle case di proprietà (il 75% delle famiglie italiane è proprietaria della casa in cui vive), il difficile momento economico, l’aumento del prelievo fiscale e il miglioramento della distribuzione dei prodotti realizzato grazie alle grandi strutture a libero servizio, sta spingendo molti privati ad approcciare interventi di manutenzione e di decorazione“.

E’ importante sottolineare come, nel 1995, molte tra il 75% delle famiglie (è il dato più alto in Europa) proprietarie della loro abitazione avessero finalmente finito di pagare il mutuo necessario per l’acquisto liberando così una quota di denaro e di attenzione a favore della manutenzione e dell’abbellimento di quella casa conquistata nella sua interezza.

La decorazione è un fenomeno che in Italia si è sviluppato negli ultimi dieci anni, dopo il grande rigore degli anni Settanta, che imponevano il muro bianco come protagonista assoluto – spiegava nel corso di un’intervista del 1995 l’architetto Rita Macchiavelli, decoratrice d’interni, oltre che ideatrice e animatrice dei corsi gratuiti di decorazione organizzati nell’ambito di Decorare -. Oggi stiamo assistendo ad un vero e proprio ritorno di un fenomeno che è sempre esistito in Italia, ma che si sta ulteriormente ampliando coinvolgendo lo stesso consumatore nello svolgimento di operazioni di abbellimento e arricchimento della propria abitazione“.

Il successo di Decorare, come ho già avuto modo di sottolineare, fu di pubblico (operatori e consumatori), fu mediatico, fu culturale perché portò una nuova interpretazione e un nuovo approccio alla manutenzione della casa, ma non riuscì a penetrare nel muro che circondava le tradizionali aziende del mercato del bricolage, arrivando così, dopo quattro edizioni e comunque un raddoppio degli espositori (artigiani/artisti + belle arti) che nel 1998 superarono la quota dei 100 stand, all’inevitabile chiusura.

Una scelta che peraltro, vorrei sottolinearlo, denotò un grande senso di responsabilità e di serietà professionale da parte di Fiera Milano e di Villa Erba Spa che avevano investito molto per promuovere e per arricchire la manifestazione di eventi, corsi e appuntamenti sapendo che tali investimenti erano necessari per sostenere una nuova logica di approccio al mercato e un nuovo modo di interpretare la fiera in quanto tale, specializzata ma aperta e ricca di scambi e di sinergie tra produzione, distribuzione, utenza professionale e utenza privata.

E’ evidente che il solo mercato degli artigiani e delle belle arti e il fatturato che essi potevano garantire con l’acquisto delle aree espositive, non poteva giustificare una continuità agli investimenti pianificati nei primi quattro anni di attività, quindi la scelta non poteva che orientarsi o alla chiusura della manifestazione, oppure ad un ridimensionamento significativo degli investimenti, eliminando per esempio i corsi al pubblico, oppure i convegni per gli operatori, o le campagne promozionali televisive, sostanzialmente ridimensionando il progetto ad una, dignitosissima (ed economicamente remunerativa), modesta fiera locale.

I due Enti fieristici preferirono la chiusura e credo abbiano scelto la strada più seria e professionale, lasciando così un segno positivo e interessante nella storia del mercato della decorazione e del bricolage.

Prima di concludere questa parte dedicata alla manifestazione Decorare in quanto stimolo ad una nuova tendenza ed interpretazione del bricolage voglio proporre una dichiarazione rilasciata da Giulia Arrigoni, capoufficio stampa della manifestazione, durante la prima edizione del 1995, sulla quale vale la pena di soffermarsi per qualche riflessione.

Decorare è un  nuovo modo di concepire una manifestazione fieristica – spiegava Giulia Arrigoni -. Sono molti ormai gli articoli che si leggono sulla necessità di trasformare il momento fieristico, di rinnovarlo, di renderlo più presente, più utile ai mercati moderni. La Fiera di Milano si sta muovendo in questo senso e Decorare è proprio una realtà che nasce all’interno di una volontà di voler studiare prima e lavorare poi per produrre qualcosa di utile per il mercato. Posso riportare che cosa è accaduto nel settore da quando il verbo decorare è diventato il marchio di una manifestazione fieristica. Da subito, in segreteria operativa, abbiamo avuto la sensazione di aver colto nel segno. In un mercato italiano compresso tra due grandi casseforti, l’area professionale e l’area fai da te, il concetto orizzontale e aperto di decorazione ha trovato immediatamente un altissimo livello di apprezzamento e di identificazione con un’ampia fascia di soggetti del mercato“.

Qualche dato che posso evidenziare con non poco orgoglio: tremila schede “Per saperne di più su Decorare ” ritornate, debitamente compilate da operatori del settore (artigiani, commercianti, applicatori, architetti, ecc.). Lo straordinario interesse suscitato nei grandi media: dalla Rizzoli che tramite la rivista Milleidee ha voluto percorrere da subito e da protagonista questa nuova esperienza del “Decorare”, fino a Tele MonteCarlo che, già sensibile alle problematiche della casa con la trasmissione “Casa:Cosa?” condotta con successo da Claudio Lippi, ha immediatamente identificato il concetto di decorazione vincente per il pubblico e ha quindi organizzato due trasmissioni sulla decorazione e su Decorare in quanto manifestazione fieristica e punto d’incontro per il settore. Dagli Speciali televisivi trasmessi da molte televisioni e radio nazionali e locali, su Decorare e sulla decorazione. Fino ad arrivare alle migliaia di telefonate ricevute da parte di operatori e di privati dalla segreteria operativa per informazioni e all’attivo e positivo rapporto sviluppato con ANVIDES, l’Associazione Nazionale delle Imprese di Restauro, Coloritura, Decorazione, Stuccatura e Verniciatura e con ESEM, la Scuola Edile Milanese, che all’interno dei propri corsi destinati agli operatori ha aperto un’importante sezione dedicata alle tematiche della decorazione“.

Tutti elementi – conclude Giulia Arrigoniche certificano l’esigenza del mercato di questo nuovo modo di proporsi. E’ sempre di più necessario mettere l’utente finale al centro del mercato. E’ intorno al “cliente finale” che tutti devono ruotare, produzione e distribuzione, per ottenere soddisfazione nel loro lavoro. Un cliente che oggi, sia per crescita globale del livello culturale, che per la ritrovata voglia di essere attivi protagonisti della propria casa, non delega più come un tempo al professionista (architetto o artigiano) l’intero sviluppo del lavoro. Interviene con il proprio gusto, la propria personalità e, ovviamente, il proprio budget.  Un cliente che, oltre ad avvalersi dei migliori professionisti, provvede anche da sé agli interventi di manutenzione, di abbellimento e di riparazione della propria casa. Naturalmente nei limiti delle proprie capacità, della propria pigrizia e del proprio stato economico“.

Nella chiusura di questo suo intervento del 1995, Giulia Arrigoni, pone le due questioni sostanziali dello sviluppo degli anni successivi della distribuzione in generale e di quella del bricolage in particolare. Infatti “porre al centro del mercato il cliente finale” è uno dei temi fondamentali delle strategie distributive dell’ultimo decennio e probabilmente lo sarà anche nel prossimo. Prima con le logiche del customer care e poi con la graduale affermazione, ancora lontana dall’essere completa, del category management, che pone al centro delle proprie analisi e strategie proprio il cliente e la sua soddisfazione.

Il secondo aspetto importante posto dalla Arrigoni riguarda la categorizzazione del cliente dei prodotti per il bricolage, che non vuole più essere limitata all’uomo, alla lavorazione del legno o ai grandi lavori di manutenzione fai da te, ma allargata a tutta la famiglia e a tutte le problematiche della casa.

E’ la casa a diventare centrale nelle attenzioni della famiglia, la quale è protagonista di tutte le scelte, compresa quella di fare da sé oppure di delegare il lavoro ad un professionista, pur senza perdere il ruolo fondamentale di essere consumatore e cliente finale del mercato.

In realtà questa impostazione ebbi modo di riscontrarla anche qualche anno prima, quando, nel 1989 intervistai Edoardo Meazza, ferramenta storica (nata nel 1928) di Milano che, con le sue oltre 30 mila referenze è da sempre un punto di riferimento per professionisti, architetti e privati.

Nell’intervista dell’epoca Edoardo Meazza mi disse che il fatturato del punto vendita era composto da un 30% accreditabile all’ingrosso e un 70% al dettaglio.

In effetti era (e sicuramente lo è ancora) sufficiente soffermarsi davanti allo storico punto vendita della centralissima via Circo per rendersi conto del grande numero di privati che entravano nel negozio.

Alla mia domanda se quei privati fossero faidateisti la risposta fu molto precisa.

Assolutamente no – esordì seccamente Edoardo MeazzaNoi non curiamo gli hobbisti, bensì il privato. C’è una grossa confusione sul significato del termine “fai da te”: la nostra clientela, pur acquistando prodotti di ferramenta e utensileria, non può essere accomunata in un ambito di fai da te perché, nella realtà, fanno fare ad altri, agli artigiani. Più semplicemente: il nostro cliente-tipo acquista le maniglie per le porte di casa senza badare troppo al costo e con l’unico scopo di soddisfare le proprie esigenze estetiche, dopo di che le fa installare da un artigiano. Per questo motivo non posso considerare i miei clienti faidateisti.

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