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La distribuzione italiana ha sempre espresso la radicata tendenza, tutta italiana, verso la piccola dimensione.

E’ noto che l’Italia sia il Paese della piccola impresa, dell’impresa familiare e dei piccoli Comuni (il 72% degli 8.100 Comuni italiani conta meno di 5.000 abitanti, per un totale di circa 10 milioni di persone, pari al 19% della popolazione nazionale, che presidiano il 55% del territorio nazionale).

Anche nel commercio la tendenza al piccolo è sempre stata una dominante, quanto meno fino agli anni ’70 quando la grande distribuzione ha iniziato la sua ascesa, e lo è tutt’ora in molti comparti merceologici soprattutto del non food.

Questa grande forza numerica del piccolo commercio al dettaglio gli ha consentito un forte lavoro di lobbing, soprattutto nei confronti del mondo politico, che ha permesso di porre ostacoli alla crescita della grande distribuzione organizzata: la legge 426 del 1971  ne è uno degli esempi più evidenti.

Tali ostacoli allo sviluppo della grande distribuzione hanno portato l’Italia in una situazione anomala rispetto agli altri Paesi europei.

Composizione % del giro d’affari del commercio al dettaglio nei principali Paesi Europei

PAESI Ipermercati
Supermercati
Superettes
Tradizionali
Specializzati
Germania
11,1
25,6 12,6 5,9 33,7 
Francia
35,0 33,5 3,2 3,9 13,3 
Regno Unito
 23,024,1 5,9 5,8 21,3 
Spagna
 13,512,4 10,6 24,6 19,0 
Italia
 3,131,1 11,1 29,9 2,6 
EUROPA
15,1 29,5 10,3 11,2 17,5 

Fonte: Nielsen

Su base storica si può rilevare come la grande distribuzione sia nata in Italia negli anni ’60, con i primi supermercati e i primi grandi magazzini.

La prima grande accelerazione nelle aperture la grande distribuzione la operò alla fine del decennio, negli anni 1968/69/70 proprio per prevenire una riforma del commercio (Legge 426/71) che, era noto, avrebbe introdotto norme vincolistiche e stimolato una maggiore “prudenza” nella programmazione che i Comuni avrebbero dovuto mettere in atto con i primi piani commerciali.

Questa corsa alle aperture pre-riforma portò, per esempio in Lombardia (regione di massima penetrazione per la grande distribuzione), ad una crescita del 50% del numero dei grandi magazzini alla fine del 1970 rispetto al 1967, e a triplicare il numero di supermercati.

Un trend di crescita che peraltro sarebbe proseguito fino al 1975, grazie alle lentezze registrate nell’avvio della programmazione locale prevista dalla legge 426/71.

Dopo il 1975, per qualche anno, la spinta espansiva della grande distribuzione si andrà attenuando.

I motivi di tale rallentamento sono identificabili sia nell’azione politico-amministrativa che, in applicazione della legge 426, tende ad ostacolare o quantomeno a non facilitare la nascita di nuovi punti vendita di grande distribuzione attraverso una serie di barriere all’entrata previste nei piani commerciali approvati dai Comuni, sia nella necessità di una fase di razionalizzazione e di migliore organizzazione dopo il periodo della grande espansione.

Una fase dunque di riordino del settore, caratterizzato anche da passaggi di proprietà di alcune insegne.

Una fase nella quale il commercio tradizionale sembra riprendere fiato, raccogliendo i frutti di talune scelte organizzative fate in precedenza (soprattutto la specializzazione) e beneficiando di alcune agevolazioni finanziarie (legge 513 del 1975) a supporto di programmi di rinnovo e ampliamento dei locali e delle attrezzature.

Durante il quinquennio 1975/1980 il dettaglio tradizionale svolse un grande lavoro di riorganizzazione e di recupero della competitività, andando verso la specializzazione e, dove esistevano le capacità imprenditoriali e le disponibilità finanziarie, verso formule di libero servizio con superfici di vendita intermedie (100-400 metri quadrati) e collegandosi in centrali d’acquisto comuni in grado di garantire i vantaggi di scala conseguiti su questa funzione dalle imprese a succursale.

Entrando però nel particolare di questa prima analisi generale sulla storia del commercio italiano, bisogna rilevare come la grande sofferenza di quegli anni fu soprattutto per il dettaglio tradizionale del settore alimentare e del grocery.

Considerazioni diverse devono invece essere fatte per il comparto del non food, dove la sostituzione delle piccole imprese familiari a favore della grande distribuzione appare assai meno radicale.

Alle prime rimane uno spazio fisiologico più ampio per effetto della maggiore innovazione che caratterizza queste merceologie, innovazione cui si aggiunge un accentuato processo di diversificazione dell’offerta di beni da parte dell’industria che riduce, e talvolta inverte, la tendenza alla banalizzazione di sempre maggiori quote dei beni consumati.

Questa banalizzazione era infatti il punto di forza della grande distribuzione non food e costituiva il corrispettivo della grande produzione in serie di beni, attuata per raggiungere le migliori economie di scala.

Negli anni ’80 saranno le stesse aziende produttrici di beni per i mercati del non food a creare forme di tutela della distribuzione tradizionale, che comunque garantiva ancora il più significativo giro d’affari, rispetto ad una grande distribuzione che, contrariamente a quella alimentare, dimostrava uno sviluppo piuttosto lento.

Nascono così le linee di prodotti dedicate esclusivamente alla distribuzione tradizionale e quelle riservate alla grande distribuzione: un fenomeno particolarmente evidente nei comparti della cartoleria e della ferramenta.

Gli anni ’80, soprattutto nella seconda metà, sono quelli dove l’intero sistema commerciale, ma anche quello politico, prende atto in maniera definitiva della penetrazione della grande distribuzione sul territorio rassegnandosi a organizzare metodiche di convivenza il meno dolorose possibile.

Nel 1985 la grande distribuzione riprende il suo percorso espansivo, favorita proprio dal ribaltamento del funzionamento della legge 426 e dei criteri di programmazione adottati a livello locale attraverso i piani commerciali.

Bisogna infatti tenere conto che i quegli anni la grande distribuzione aveva ormai raggiunto dimensioni tali da esercitare la propria attrazione commerciale verso aree di consumo che superavano ampiamente i confini comunali; un fatto che influenzò fortemente le amministrazioni comunali che ridussero sempre di più il contingentamento delle grandi superfici di vendita fu quello di evitare che fossero i Comuni limitrofi ad autorizzare le nuove aperture di grandi punti vendita, che comunque avrebbero determinato una modificazione strutturale e competitiva del commercio nel proprio territorio, senza però ottenere i benefici fiscali, infrastrutturali e occupazionali che una nuova apertura di un centro di grande distribuzione comporta.

Preso atto di questa tendenza si inizia anche a procedere ad un aggiustamento delle norme e delle regole che disciplinano il sistema distributivo.

Nel 1987 la legge 121 prevede facilitazioni nei processi di concentrazione dei piccoli e medi esercizi, ma soprattutto, da l’avvio ad una politica organica a favore dei centri commerciali integrati, prendendo atto di una fase innovativa ormai non più frenabile.

Ancora più radicali, nel contesto del nuovo orientamento normativo, saranno poi le disposizioni del D.M. 375 del 1988.

Con esso cadono o si riducono molte barriere contenute nei piani commerciali, mentre vengono favoriti automatismi di più generale portata attraverso la piena liberalizzazione degli ampliamenti e dei trasferimenti.

Viene anche meno il potere autorizzatorio regionale per il trasferimento e l’ampliamento degli esercizi di grande e media dimensione.

Unità locali e addetti del commercio. Italia 1981/1991

Gruppi di
attività
Unità
locali 1981
Addetti
1981
Unità
locali 1991
Addetti
1991
Unità locali
var % 81/91
Addetti
var % 81/91
Comm. e riparaz. autoveicoli 170.315 468.167 184.588 491.148 8,4 4,9 
Ingrosso
127.843 630.317 148.003 733.154 15,8 16,3 
Intermediari del commercio
84.510 129.751 108.919 169.518 28,9 30,6 
Dettaglio non specializzato
78.161 217.387 92.586 326.206 18,5 50,1 
Dettaglio food specializzato
273.057 501.857 184.135 338.403 – 32,6 – 32,6 
Dettaglio non food specializzato
435.534 882.662 485.325 989.723 11,4 12,1 
Ambulanti
e altre forme
140.384 197.831 137.482 205.164 – 17,8 – 21,0 
Totale attività 1.309.804 3.027.972 1.341.038 3.253.316 2,3 5,1 

Fonte: elaborazione Unioncamere Lombardia su dati Istat, Censimento Industria e Servizi

Questa maggiore apertura legislativa, che si concretizzerà poi in maniera definitiva con il decreto legge numero 114 del 1998, porta nel decennio successivo (1991-2001) ad un significativo aumento della grande distribuzione organizzata, a fronte di una tenuta del dettaglio tradizionale non food e di un ulteriore ridimensionamento del dettaglio tradizionale alimentare.

Sulla base dei dati Confesercenti si evince che il numero medio delle nuove aperture di super e iper  è passato da 209 nel decennio 1981/1991 a 430 nel decennio 1991/2001.

Nell’analisi poi del ventennio 1981/2001 la Confesercenti sottolinea come a fronte di un calo del 40% dei negozi tradizionali del dettaglio alimentare, corrisponde una quintuplicazione del numero delle grande distribuzione (super e iper).

Un fenomeno che ha portato un grande cambiamento nell’assetto professionale del commercio in Italia: infatti, pur se non è rilevabile un calo dell’occupazione, anzi eventualmente una leggera crescita, cambia sostanzialmente l’assetto tra la figura professionale del commerciante indipendente, caratteristica del nostro Paese, e di quello dipendente.

Dal 1981 al 2001 la percentuale di lavoratori dipendenti nel settore commercio è passata dal 41,8% al 54,7%, mentre gli indipendenti sono passati dal 58,2% al 45,3%.

Nello stesso periodo le imprese organizzate come ditte individuali hanno subito un decremento dal 87% al 73% del totale, mentre le società sono cresciute numericamente dal 13% al 27% del totale delle unità locali di commercio in sede fissa.

Una vera e propria inversione di tendenza che però, anche in questo caso, come negli anni passati, ha coinvolto fondamentalmente il dettaglio alimentare, mentre nel comparto dei beni non food la tenuta della distribuzione tradizionale è molto maggiore soprattutto per una minore velocità di espansione della grande distribuzione.

8° Censimento generale dell’industria e dei servizi. Istat 2001. Sezione commercio

Aree
geografiche
Unità locali
2001
Var %
1991/2001
Addetti
2001
Var %
1991/2001
nord-ovest
352.137 – 3,5 1.029.295 + 1,9 
nord-est
262.390 – 2,9 755.795 + 5,6 
centro
272.284 – 0,3 665.012 – 0,5 
sud
306.656 – 3,0 595.129 – 1,3 
isole
138.324 – 8,3 288.795 – 6,3 
Totale Italia
1.334.791 – 3,2 3.334.026 + 0,9 

Per dovere di analisi bisogna anche sottolineare come la contrazione del dettaglio tradizionale, per certi versi fisiologica nel commercio moderno, in Italia è stata agevolata da una scarsa preparazione degli imprenditori della piccola distribuzione che spesso sono stati costretti a chiudere anche perché non si sono rinnovati, specializzati, non hanno studiato quei dettami del marketing distributivo che enfatizzano concetti come: immagine, accoglienza del punto di vendita, reputazione presso la clientela e servizi collaterali.

In ogni città d’Italia esistono esempi di dettaglianti tradizionali che con l’attenzione alle tendenze distributive e alle nuove esigenze del consumatore hanno fatto la loro fortuna.

Purtroppo molti si sono affidati solamente al fatto di essere il negozio di prossimità e di offrire prodotti di qualità (e ovviamente anche prezzo) superiore rispetto alla grande distribuzione: non è bastato e tuttora non basta, tant’è che in un momento di crisi dei consumi, come è quello che sta attraversando l’Italia in questo inizio di millennio, la grande distribuzione, nel triennio 2001/2003 ha registrato un incremento del fatturato pari al 14,4% (+ 6,6% al netto dell’inflazione), mentre la distribuzione tradizionale, nello stesso periodo, ha fatto registrare un + 2,9% (- 5,5% al netto dell’inflazione).

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