L’intero staff di Bricoliamo alla chiusura dell’ultimo Flormart, mostra internazionale del florovivaismo di PadovaFiere, aveva deciso di non intervenire con un’analisi dell’andamento della manifestazione, pensavamo fosse oltre che inclemente anche inutile considerando il declino progressivo della mostra negli ultimi anni e in più, come si sa, in Italia qualsiasi critica, anche se dettata dalla passione e portata con innocente spirito costruttivo, viene immediatamente relegata nell’antro delle polemiche e delle provocazioni.
Tuttavia, alla luce della lettera aperta (che per comodità dei lettori e correttezza d’informazione riportiamo integralmente alla fine di questo articolo dopo la nostra Rotta di Navigazione) diffusa da Paolo Coin, amministratore delegato di PadovaFiere, in cui offre al mercato la propria chiave di lettura rispetto al fiasco di quest’edizione 2013 del Flormart, abbiamo deciso di imbracciare la tastiera (un tempo, quando il Flormart era “grande” avremmo detto la penna) per tentare di ricostruire una storia sulla quale forse vale la pena spendere una riflessione.
Durante il recente BricoDay nella sua interessante relazione, Davide Cavalieri, della Cavalieri Retailimg, società che dal 1988 “sviluppa soluzioni per creare valore nei punti vendita e nelle reti commerciali” ha avuto modo di sottolineare come a fronte dell’individuazione di criticità le grandi insegne multinazionali della distribuzione, nelle sedi italiane cercano in tutti i modi di trovare delle giustificazioni (crisi, poco personale, scarse risorse per la comunicazione, ecc.), mentre nelle sedi delle stesse catene ma negli altri Paesi europei chiedono cosa non va e come fare per migliorare.
E’ un vizio tutto italiano quello di non individuare e non ammettere con trasparenza le proprie responsabilità riguardo ad un determinato problema: è sempre colpa dell’altro che prima ha fatto o non ha fatto qualcosa.
La nostra classe politica è maestra di questo esercizio, ma anche il mondo fieristico non se la cava male.
È sempre colpa degli altri
E’ quindi ovvio che Paolo Coin sostenga che il Flormart di quest’anno (settembre 2013) “è sicuramente lo specchio dei tempi e non il frutto della volontà miope di PadovaFiere”.
Sembrerebbe che con lo “specchio dei tempi” Coin voglia indicare la crisi economica, certamente tra le cause più importanti della Caporetto di Flormart, ma nella frase successiva l’amministratore delegato di PadovaFiere vuole essere più preciso e individua un gruppo di responsabili, cioè “coloro che hanno deciso di non partecipare.
Alcuni di questi hanno fatto la non elegantissima scelta di chiamarsi fuori promuovendo urbi et orbi la loro assenza (in una logica piuttosto sabotatoria) e salvo poi essere presenti nei corridoi del primo giorno di mostra sottolineando con la presenza la loro assenza.”
Conosciamo bene il sistema fieristico italiano, la sua storia e il suo declino dell’ultimo decennio e altrettanto bene conosciamo il comparto del florovivaismo e le aziende che, con il loro quotidiano lavoro, devono essere considerate un fiore all’occhiello della nostra economia e della nostra cultura (l’Italia, dopo l’Olanda è il secondo Paese esportatore di fiori e piante insieme alla Germania).
Aziende che hanno tutti i vizi e le virtù tipiche dell’imprenditoria italiana, ma che si impegnano con passione e professionalità per migliorare il loro prodotto e la loro efficienza.
In più il mercato italiano del florovivaismo ha una forte coesione tra le imprese che non mancano di creare e sostenere occasioni di incontro.
Quello del florovivaismo nazionale è certamente uno dei mercati con il maggior numero di incontri, di premi, di giornate aperte, di convegni, di forum e quant’altro.
Flormart è sempre stato nel novero di queste occasioni di incontro e francamente caricare di qualsivoglia responsabilità queste aziende ci appare ingeneroso, oltre che ingiustificato.
Le responsabilità della crisi
Se tante aziende hanno deciso di non partecipare più a Flormart siamo convinti che l’hanno fatto con la morte nel cuore, ma nella convinzione che negli anni la manifestazione si rivelava sempre più inutile.
Ma dopo la bordata alle aziende assenti, anche Paolo Coin non se la sente di liquidare il flop di Flormart addossando la colpa a loro: “… non sarebbe serio e non lo farò – spiega Coin – per cui veniamo a noi e alle nostre responsabilità. Se abbiamo una colpa certa è quella di non essere riusciti a far sì che il settore si “affezionasse” a noi o percepisse gli impegni anche collaterali assunti e le partnership messe in atto a sostegno del comparto. O peggio le percepisse negativamente. Chi organizza un evento in Italia di questi tempi si assume certamente l’onere di perderci dei soldi (ma ci sta, perché crediamo che il nostro lavoro abbia un futuro e perché storicamente questo settore ci ha dato molto) e anche se non ci sarà stata la moquette dappertutto, ad esempio, abbiamo fatto quasi due mesi di Radio Rai convinti che lanciare messaggi al pubblico conti più delle corsie di moquette che sono un “taglio” comune a tutti i quartieri fieristici”.
Quando abbiamo iniziato a leggere la frase che abbiamo riportato ci siamo illusi di poterci addentrare in un’attenta analisi delle responsabilità del fiasco Flormart, invece, ancora una volta, il vizio italiano emerge e sostanzialmente risulterebbe che PadovaFiere ha avuto l’unica pecca di non essere riuscita a far affezionare il settore all’organizzazione (“… a noi …”), alla segreteria organizzativa di Flormart.
Già perché l’affetto nei confronti della manifestazione, del Flormart, è fuori discussione e tutto il settore del florovivaismo lo ha dimostrato per decenni.
Oltre alla questione dell’affettività Coin si assume anche la colpa di non essere riuscito a far percepire gli impegni collaterali e le partnership messe in atto a sostegno del comparto.
Meglio la moquette o la pubblicità?
Una colpa che però viene ben presto ridimensionata dalla constatazione che siamo di fronte a imprenditori che danno più importanza alla moquette (nella foto di apertura dell’articolo si può notare il pavimento di Flormart senza moquette) rispetto ai quasi due mesi di pianificazione di Radio RAI.
Pur se convinti che il problema di Flormart non sia l’assenza della moquette e nemmeno la presenza degli spot radiofonici sui canali RAI, ci sia consentita un’annotazione: fermo restando che la promozione e la pubblicità di un evento sono fondamentali per il successo dello stesso, non si può trascurare il fatto che le aziende invitano i propri clienti nazionali e internazionali in Fiera e, come è ovvio che sia, gradirebbero che questi visitatori, che per le aziende sono considerati veri e propri VIP, siano accolti in un ambiente pulito, confortevole e che rispecchi quell’immagine conquistata con fatica dall’intero settore. In questo senso la moquette è assai più importante di quanto si possa pensare.
Flormart è una fiera classificata “internazionale”, quindi deve essere considerata come un hotel a cinque stelle che, in quanto tale, non può trascurare certe finiture, anche a scapito di qualche passaggio radiofonico.
La lettera aperta si conclude poi con un ultima divagazione riguardante “il fantasma del “Grande Flormart” che fino al 1994 stava tutto in un quartiere costruito negli anni ’20 che non metteva insieme 13.000 mq” (quindi robetta – n.d.r.). “Gli anni di vera gloria dimensionale iniziano nel 2002 con i nuovi Padiglioni a regime e declinano rapidamente con la crisi che attanaglia l’economia mondiale a partire dal 2008”.
Su questa annotazione ci corre l’obbligo di una breve ricostruzione storica.
La vicenda Flormart-Miflor tra Padova e Milano
Che negli anni 2001 e 2002 la costruzione dei nuovi padiglioni abbia portato PadovaFiere a un ampliamento molto importante delle aree espositive coperte è fuori dubbio, tuttavia accreditare a tale ampliamento la rapida crescita fatta registrare da Flormart in quegli anni non è perfettamente corretto. Dobbiamo infatti ricordare che alla fine del 1999, la Fiera di Padova riuscì, grazie all’intervento Ministero dell’Industria, a dirimere la propria controversia con Fiera Milano sul tema concorrenza tra Flormart e Miflor.
A quell’epoca i quartieri fieristici erano retti da Enti e non da Spa come oggi, facevano capo al Ministero dell’Industria e non alle Regioni come oggi e non potevano organizzare manifestazioni tra loro concorrenti, contrariamente a oggi.
Per chi non lo sapesse o per i manager più giovani che al tempo non erano nel mercato, ricordiamo che Miflor, nato nel 1988, era la manifestazione per il florovivaismo che Milano volle organizzare per dare quel respiro internazionale che gli imprenditori del settore richiedevano e che Flormart, che sostanzialmente in quegli anni era una manifestazione di livello locale o al massimo nazionale (anche per le dimensioni ridotte del proprio quartiere), non era in grado di offrire.
Nascita e crescita di Miflor
Miflor era organizzato da Ellepielle, società di Giacomo Ustignani (uno dei nomi storici dell’organizzazione fieristica in Italia) e poteva contare su un attivo sostegno da parte di alcuni personaggi che hanno fatto la storia del florovivaismo in Italia, qualche esempio: Settimo Del Tozzotto, all’epoca presidente di Unaflor (Unione Nazionale dei Florovivaisti), Franco Locatelli, presidente dell’Associazione Lombarda dei Florovivaisti e dal 1995 presidente di Unaflor, Arturo Croci, direttore di Flortecnica, Valter Pironi, direttore della Scuola di Minoprio e molti altri (con i quali ci scusiamo per non averli menzionati) fino a formare un patrimonio di conoscenze e competenze davvero unico.
Nonostante la concomitanza di date con l’IPM di Essen, a tutt’oggi la manifestazione internazionale di florovivaismo più importante che abbiamo in Europa, Miflor riuscì a collocarsi nel mercato e a diventarne un importante riferimento.
Nel 1991, con 1.502 espositori e 37.963 visitatori Miflor veniva definito da Del Tozzotto “una manifestazione diventata ormai indispensabile per il settore e che si è dimostrata quest’anno superiore ad ogni aspettativa” (fonte ADNKronos). Con il passare degli anni schiacciata dalla potente fiera di Essen, da una congiuntura di mercato non particolarmente favorevole e dalle pressioni ministeriali sollecitate dalla Fiera di Padova, il Miflor perse gradualmente espositori fino ad arrivare all’edizione del febbraio 1998 con circa 600 espositori e 38 mila visitatori.
La fusione Flormart-Miflor
Arriviamo così al 1999 quando venne stipulato un accordo tra PadovaFiere e Fiera Milano che doveva durare fino al 2007 e che prevedeva la fusione dei marchi Flormart-Miflor, l’organizzazione ogni anno di almeno una mostra a Padova (ben presto Padova ebbe l’organizzazione sia dell’edizione primaverile che autunnale) e che, durante gli otto anni di durata dell’accordo, sarebbero dovute essere organizzate due manifestazioni internazionali a Milano (la prima era stata prevista per il 2003).
Detto tutto questo si può ben capire come sia incompleto il dato secondo cui la crescita dimensionale di Flormart nei primi anni del nuovo secolo sia da accreditare alla realizzazione dei nuovi padiglioni (che ripetiamo essere fondamentale). Nel 2002 la manifestazione padovana era già Flormart-Miflor e la mostra milanese era ormai definitivamente chiusa, con una ovvia confluenza di espositori e visitatori verso Padova.
L’ultimo aspetto su cui non riusciamo a ritrovarci e quello riguardante l’inizio della “gloria dimensionale” nel 2002 e l’inizio della crisi nel 2008.
Sulla base dei dati che siamo riusciti a ricostruire tramite i comunicati stampa di PadovaFiere e gli articoli pubblicati dalle diverse riviste di settore, notiamo che dal 2002 al 2009 il numero di espositori varia di poco, tra i 1.200 e i 1.300.
E’ il 2004 con 1.315 espositori che si tocca in picco massimo.
Il primo segno di calo nel numero degli espositori lo troviamo nel 2010, quando PadovaFiere ne dichiarò “oltre 1.000”. Stesso numero per il 2011 con una piccola crescita a 1.100 nel 2012.
Per quanto riguarda i visitatori invece il dato è costante sopra quota 35 mila dal 2002 al 2007, con l’unica eccezione del 2005 quando furono 32 mila a fronte di un picco massimo nel 2003 quando raggiunsero i 37 mila.
Effettivamente dal 2008, anno di inizio della crisi i visitatori sono immediatamente calati di quasi 10 mila unità passando a 27 mila nel 2008 e nel 2009, 25 mila nel 2010, 20 mila nel 2011, 24 mila nel 2012.
Ripetiamo che tutti i dati che abbiamo riportato provengono dall’ufficio stampa di Flormart oppure da articoli apparsi sulla stampa tecnica con dichiarazioni ufficiali della fiera.
Esattamente come i dati riguardanti l’edizione 2013 che riprendiamo dal comunicato stampa conclusivo dove si spiega che sono state “500 le realtà la cui attività di promozione non si è fermata davanti a questa crisi e che hanno deciso di investire, ancora una volta, in Flormart , nella speranza di contribuire alla ripresa del comparto. Sono circa 21.000 gli operatori che non hanno rinunciato a concludere il proprio business in queste tre giornate”.
L’inizio della crisi
Quindi, a fronte di una sostanziale tenuta del numero dei visitatori (3 mila in meno del 2012, ma 1.000 in più del 2011) nell’edizione 2013 PadovaFiere ha registrato un dimezzamento del numero degli espositori.
Questo però è successo solo quest’anno e non dal 2008, anno di inizio della crisi.
Naturalmente non è plausibile che PadovaFiere quest’anno abbia diffuso il numero “netto” degli espositori, mentre gli altri anni il numero al “lordo” dei marchi rappresentati.
Quindi i casi sono due: o i numeri offerti al mercato da PadovaFiere non erano o non sono esatti, oppure il crollo del numero degli espositori è improvviso e riguarda l’edizione 2013.
Per concludere con un nostro modesto punto di vista, il problema del sistema fieristico nazionale, e quindi non solo di Flormart, risiede nella mancanza di innovazione della ormai vecchia formula della fiera specializzata per l’operatore.
Una formula che non funziona più tranne nei casi delle manifestazioni internazionali, cioè che rappresentano con espositori internazionali la produzione mondiale del proprio settore di riferimento (è qui che sta la forza delle fiere tedesche) e che richiamano quindi visitatori da tutto il mondo. Tutte le fiere che non hanno questa forza, quindi gran parte delle italiane (che spesso sono internazionali solo sulla carta), sono costrette a ripensarsi, a trovare soluzioni innovative per continuare a rendere il momento fieristico utile e importante per le aziende del settore.
D’altro canto se si fa per un attino mente locale scopriamo che le fiere in Italia nascono sostanzialmente negli anni ’60 con le campionarie, che proseguono con successo fino agli anni ’80 (le possibilità di promuovere il proprio marchio e i propri prodotti erano ridotte e le campionarie erano un’opportunità importante). Dagli anni ’80 fino al 2.000 abbiamo il periodo d’oro della fiera specializzata per l’operatore (le opportunità di promozione si moltiplicano con la nascita dell’emittenza privata, ma molte aziende hanno ancora reti di agenti contenute e la fiera è un’ottima opportunità per incontrare potenziali clienti e fare ordini).
Nel 2.000 le cose sono cambiate, le aziende e i mercati si sono evoluti.
Si è aperto un nuovo ventennio ma a differenza di quanto è accaduto nel ’60 e nell’80 il sistema fieristico non ha elaborato una nuova offerta in linea con le nuove esigenze ed è forse per questo che entrato ed è tuttora in sofferenza.
Ma questo è solo un nostro timido parere.
Ottobre 2013
ROTTA DI NAVIGAZIONE:
- FLORMART E “FLORMORT” – 2012
- IL FLORMART FOTOCOPIA SE STESSO – 2009
- SISTEMA FIERE 2012: TUTTI AMICI
- SISTEMA FIERE 2011: NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE
- BASTA GUERRE TRA LE FIERE
- GLI OPERATORI DEL SETTORE LEGGONO TEN -diyandgarden
La lettera aperta di Paolo Coin
“Premetto che se il compito di un organizzatore di eventi è quello di magnificare e “tirare a lucido” anche le cose meno positive, questo sia un caso diverso perché nei momenti difficili bisogna essere seri e perché Flormart merita una riflessione attenta.
Personalmente in vent’anni di PadovaFiere ho conosciuto numerosissime imprese e tante segreterie organizzative che oggi, anche se dotate di grande esperienza, si trovano in difficoltà nell’affrontare una crisi nella quale è difficile tenere la barra al centro e le promesse (anche di partecipare) sono purtroppo molto meno attendibili perché il contesto obbliga a navigare a vista e a prendere decisioni d’impulso.
Chiarito uno dei ruoli di PadovaFiere, entro nel merito di questo 2013 e di un futuro, che deve rapportarsi con un passato ingombrante. Se confrontata con il suo glorioso passato di fiera bella, generosa e prosperosa quella che è andata in scena è sicuramente lo specchio dei tempi e non il frutto della volontà miope di PadovaFiere. É una evoluzione più essenziale e business di cui certamente non hanno usufruito coloro che hanno deciso di non partecipare. Alcuni di questi hanno fatto la non elegantissima scelta di chiamarsi fuori promuovendo urbi et orbi la loro assenza (in una logica piuttosto sabotatoria) e salvo poi essere presenti nei corridoi del primo giorno di mostra sottolineando con la presenza la loro assenza …il gioco di parole è voluto e aiuta a comprendere quanto a volte non sia facile per chi organizza prendere le decisioni corrette in nome e per conto non solo di una fiera ma anche di un settore.
Liquidiamo il risultato stabilendo che la colpa è degli assenti? Non sarebbe serio e non lo farò per cui veniamo a noi e alle nostre responsabilità. Se abbiamo una colpa certa è quella di non essere riusciti a far sì che il settore si “affezionasse” a noi o percepisse gli impegni anche collaterali assunti e le partnership messe in atto a sostegno del comparto. O peggio le percepisse negativamente. Chi organizza un evento in Italia di questi tempi si assume certamente l’onere di perderci dei soldi (ma ci sta, perché crediamo che il nostro lavoro abbia un futuro e perché storicamente questo settore ci ha dato molto) e anche se non ci sarà stata la moquette dappertutto, ad esempio, abbiamo fatto quasi due mesi di Radio Rai convinti che lanciare messaggi al pubblico conti più delle corsie di moquette che sono un “taglio” comune a tutti i quartieri fieristici.
Quello che posso dire è che le fiere, togli la Germania e poche eccezioni che confermano la regola, sono tutte in grande difficoltà e Flormart, se si pensa ad eventi che dovrebbero rappresentare settori strategici per il rilancio, che sono ridotti a poche migliaia di metri quadrati, è comunque una base sulla quale ricostruire qualcosa di importante.
Conosco, e in parte condivido, anche nel dettaglio quelli che sono gli errori che vengono contestati all’edizione appena conclusa ma credo sia fondamentale riavviare un dialogo con il settore e per questo vi anticipo e mi impegno a sviluppare i seguenti punti.
Una politica tariffaria realmente rispondente alla difficoltà del momento, Flormart e questo settore non possono permettersi una manifestazione che non sia realmente rappresentativa.
A brevissimo termine chiederemo di poter incontrare tutte le aziende più rappresentative, quelle che vengono e quelle che hanno rinunciato quest’anno, per costruire un prodotto che sia realmente rispondente alle esigenze del settore e nel quale sia possibile la più ampia identificazione.
Dialogheremo con le realtà piccole e medie per far si che possano ottimizzare al meglio la partecipazione alla Fiera, proponendo loro di sviluppare anche “forme aggregative”, un neo di questo settore.
Continuiamo il lavoro sull’Estero, che in questa edizione ha contribuito a creare e implementare relazioni commerciali particolarmente significative, rimanendo uno degli elementi sul quale spingere ulteriormente in futuro.
Un ragionamento a 360° non solo su Flormart ma anche su altri eventi, di cui siamo stati magari incompresi protagonisti, o sul ruolo e sulle opportunità legate ai Consorzi e ai progetti.
Essere trasparenti e disponibili al dialogo. E per favorirlo creiamo una casella e-mail parliamodiflormart@padovafiere.it dove potete inviarci critiche, suggerimenti e richieste che ci aiutino a fare le cose giuste e a migliorare la manifestazione.
Permettetemi un’ultima divagazione. Aleggia il fantasma del “Grande Flormart” che fino al 1994 stava tutto in un quartiere costruito negli anni ’20 che non metteva insieme 13.000 mq, comunque meno di quelli netti (quindi “buchi” esclusi) della criticata edizione 2013. Gli anni di vera gloria dimensionale iniziano nel 2002 con i nuovi Padiglioni a regime e declinano rapidamente con la crisi che attanaglia l’economia mondiale a partire dal 2008. Che assieme alle condizioni meteorologiche di questa stagione primaverile non ci ha certamente facilitato il lavoro.
La crisi dovrà finire, anche se le cose non potranno tornare come prima se non fra parecchi anni, e forse per cominciare a cambiare bisogna smettere di guardarsi indietro rimpiangendo il tempo in cui tutto era molto più bello, raggiungibile e purtroppo anche più facile”.
Paolo Coin, amministratore delegato di PadovaFiere
Rispondi