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Quello che segue è il capitolo 6 del libro “Time Out: un momento di riflessione sulla TV satellitare, internet e il digitale terrestre tra tecnologia, politica e contenuti”, scritto da Mauro Milani nel 2005.

Oggi viviamo nell’era della frammentazione, l’offerta di prodotti è sempre più ampia, diversificata e orientata a risolvere ogni problema specifico. Ogni diverso target di riferimento ha proprie esigenze, proprie aspettative e propri problemi da risolvere.

Esistono prodotti che possono trarre benefici con campagne pianificate utilizzando sia la televisione generalista che quella tematica, ne esistono però altri, e credo siano la maggioranza, dove la pianificazione della televisione generalista porta ad una dispersione del messaggio (e quindi di denaro) presso persone poco o per niente interessate e dove quindi sarebbe preferibile un media specializzato.

Le vernici per la nautica sono un prodotto molto interessante per gran parte del pubblico di Sailing Channel, ma per una piccolissima parte del pubblico di Rai1 (ovviamente se pianifico Rai1 pago la possibilità di arrivare a tutto il suo pubblico non solo alla parte che mi interessa).

Naturalmente la scelta del media tematico comporta anche uno studio approfondito del prodotto, delle sue caratteristiche tecniche e del mercato a cui viene proposto. Tutte informazioni indispensabili per poter creare una comunicazione mirata ed efficace: ad un appassionato di nautica che possiede una propria barca e ad essa dedica il proprio tempo libero non è sufficiente dire che la vernice che gli vogliamo proporre è la migliore (contenuto tipico del messaggio generalista), bisogna spiegargli il perché, bisogna spiegargli come proteggere la sua barca dall’attacco della salsedine, bisogna spiegargli la straordinaria efficacia antiruggine. Bisogna spiegare. Perché il pubblico dei media specializzati è anch’esso specializzato.

Il vantaggio consiste nel fatto che la pianificazione del media specializzato mi consente di raggiungere con grande precisione il pubblico dei miei clienti, attuali e potenziali. Per questo motivo il costo contatto delle televisioni tematiche è superiore a quello delle generaliste, perché sono contatti mirati. E le aziende sanno molto bene il valore dell’identità del cliente e della sua profilazione.

Questi, peraltro, non sono assolutamente discorsi nuovi. Se analizziamo il mondo della stampa tecnica di settore, diffusa per abbonamento più o meno gratuito agli operatori economici e tecnici di uno specifico comparto merceologico (riviste come Mark Up, Apparecchi Elettrodomestici, Brico Magazine, Professional Parquet, Media Key, Bar Giornale, GDO Week, ecc.) scopriamo che la pigrizia dei manager delle agenzie e dei centri media ha radici profonde. Tanto è vero che i venditori di pubblicità di queste testate ricercano, e praticamente sempre hanno, rapporti diretti con l’azienda inserzionista.

E’ solo al direttore generale o al direttore commerciale dell’azienda che riescono a spiegare il valore della loro rivista, del target mirato che raggiunge e dell’attenzione con cui viene letta dagli operatori del settore. Operatori che sono tutti clienti, o potenziali tali, del direttore commerciale: sono negozianti, oppure buyer della grande distribuzione, oppure posatori di parquet, oppure imprese edili, ecc.

Ben inteso che non sto parlando solo di piccole o medie imprese, sto parlando anche dei direttori generali, commerciali e marketing delle grandi multinazionali. La stampa tecnica per l’operatore parla con loro, sono loro poi che comunicano alla propria agenzia o al proprio centro media di inserire nella pianificazione generale la testata in questione.

Il problema della stampa tecnica nei confronti delle agenzie e dei centri media è lo stesso che abbiamo rilevato per la televisione tematica: è impegnativa, costa poco e necessita di una creatività specifica (al rivenditore non interessa solo che il prodotto in questione sia ottimo, deve anche garantire il miglior margine di guadagno, deve essere consegnato in tempi brevi dopo l’ordine, deve essere confezionato in modo da essere facilmente immagazzinabile, ecc.).

In termini numerici la mancata pianificazione della televisione tematica è molto semplice da calcolare, infatti, a fronte di un dato fornito da Eurisko e tendenzialmente condiviso dal mercato, sappiamo che lo share delle audiences delle TV digitali in Italia nel prime time è di circa il 6%, contro il 94,4% delle televisioni “terrestri”.

Le quote degli investimenti pubblicitari non corrispondono assolutamente a questo dato di audience: la televisione “terrestre” a fronte di uno share del 94,4% raccoglie il 97,7% degli investimenti, mentre la televisione satellitare a fronte del 6% di share raccoglie il 2,3% degli investimenti (peraltro orientati completamente alla programmazione relativa al calcio, con qualche briciola per il cinema e nemmeno quella per le tematiche).

In termini economici questo significa che, facendo riferimento ai dati sugli investimenti del 2002, alle televisioni “terrestri” sono andati 3.910 milioni di euro (97,7%) e alle digitali 90 milioni di euro (2,3%). Se queste ultime avessero potuto beneficiare del corrispettivo meritato con il 6% di share avrebbero dovuto raccogliere 240 milioni di euro. Il disavanzo quindi è di 150 milioni di euro.

Una piccola fetta rispetto alla gigantesca torta degli investimenti pubblicitari in televisione. Una piccola fetta che però sarebbe importantissima per la crescita in taluni casi e la sopravvivenza in altri di molte televisioni tematiche satellitari.

Quello che adducono i grandi centri media per spiegare questo disavanzo e quindi questa mancata considerazione della televisione satellitare riguarda motivi inerenti la mancanza di dati significativi sulle audiences, senza i quali è difficile pianificare con una certa tranquillità.

Però su questa sacrosanta motivazione mi vengono alla mente alcune riflessioni e alcuni ricordi.

Ritorno per un attimo alla stampa tecnica di settore per rilevare come i circa 250 milioni di euro (è una mia stima che ritengo non lontana dal vero) che globalmente riesce a raccogliere ogni anno in pianificazioni pubblicitarie (guarda caso è una cifra molto simile alle aspettative della televisione digitale).

Per moltissimi anni e in tanti casi ancora oggi non sono mai stati sorretti da indagini sulla diffusione e sulle audiences delle singole testate, è sempre bastata la formula “dichiarazione dell’editore”. Tutti hanno sempre saputo che le “dichiarazioni dell’editore” di stampa tecnica relativamente alla tiratura e alla diffusione erano spesso false, ma questo non ha portato alla non pianificazione di questi importanti organi di informazione.

Certo tutti i pianificatori hanno sempre fatto la cosiddetta “tara” e hanno di conseguenza trattato i prezzi delle pagine. Non si sono mai sognati di non pianificare più la stampa tecnica, perché ne hanno sempre riconosciuto il ruolo e la necessità.

La stampa tecnica è il veicolo più efficace per la circolazione delle informazioni tra gli operatori di uno specifico mercato e in quanto tale negli anni è cresciuta e si è migliorata anche grazie, o forse soprattutto grazie, agli investimenti che le aziende hanno pianificato in pubblicità.

Intendiamoci la stampa tecnica italiana ha, dal mio punto di vista, ancora molta strada da percorrere soprattutto sul fronte della qualità (ma questo è argomento a cui dedicare un libro intero), però è giusto che venga sostenuta dagli inserzionisti perché è utile al proprio mercato di riferimento. Non pianificarla significherebbe ucciderla con la coscienza di non poterne fare a meno e senza avere alcun media alternativo (internet in questo senso ha ancora da venire).

Tornando alla TV tematica e in questo caso non penso al calcio e al cinema ma a tutti gli altri mercati che essa rappresenta e, mi auguro, sempre di più rappresenterà, probabilmente bisogna capire e decidere se essa è utile allo specifico mercato che rappresenta, se offre un vero contributo alla circolazione delle informazioni, alla crescita di una cultura di settore, se coagula intorno a se gli interessi del definito e ristretto target (sia esso operatore o consumatore) coinvolto nelle dinamiche di quello specifico mercato.

Non vedo francamente molte alternative: se le risposte a queste domande sono positive bisogna sostenere le televisioni tematiche, se sono negative le si possono uccidere già da domani, basta non pianificarle.

La tendenza dei grandi pianificatori, delle grandi agenzie e dei grandi centri media, sembrerebbe orientata all’uccisione. Sarei curioso, una volta debitamente informati, sapere cosa ne pensano i direttori generali e commerciali delle aziende (e questo libro ha un po’ questa presunzione) che predispongono i budget da spendere in comunicazione.

D’altro canto bisogna tenere presente che l’Italia non è e non è mai stato il Paese della chiarezza e della trasparenza: il sottobosco politico, le relazioni, i corridoi, le cose sussurrate sono una dominante che qualsiasi lettore attento di quotidiano conosce e quindi, perché pensare che i grandi centri media e le grandi agenzie debbano fare diversamente? Sono integrate, anzi sono parte di un sistema e, come è giusto che sia, devono rispettare quella disciplina interna che consente di mantenere lo status quo con soddisfazione di tutti.

E’ un concetto facile da capire e dal quale è giusto non transigere. Quello che però un po’ mi disturba è la gestione estetica della questione relativa alle televisioni tematiche, ma d’altro canto, esattamente come ho già sottolineato all’inizio del libro rispetto alle differenze tra la creatività degli anni ’60 e ’70 e quella di oggi, vi invito a soffermarvi, indipendentemente dal credo politico di ciascuno, sulla gestione estetica delle relazioni (sia con la politica che con gli elettori) di Giulio Andreotti e quella degli attuali uomini politici.

Non conosco l’età di Andreotti e non mi sembra nemmeno carino sottolinearla, però stiamo parlando di un uomo politico che ha visto la propria apparizione televisiva il 9 settembre del 1952 (quando la televisione in Italia era ancora sperimentale), mentre entrava in Parlamento al seguito di De Gasperi, Presidente del Consiglio e che oggi, a 52 anni di distanza, appare ancora in televisione e quando apre bocca, anche se non si è d’accordo, è difficile non ascoltarlo.

E’ un uomo intelligente e dotato di una mente straordinariamente brillante, ma quello che mi ha sempre colpito è la cura che Andreotti pone nell’estetica del pensiero e nell’estetica della parola. Sono esercizi che non esistono più.

Non è esteticamente corretto sostenere che la televisione tematica satellitare non può essere pianificata perché non esistono indagini precise sulle audiences e sui target di riferimento, mancanza aggravata dalla frammentazione dell’offerta di canali.

Non è corretto in primo luogo perché non è vero. Tutti gli operatori del mercato della comunicazione conoscono Audistar, l’indagine di Eurisko proprio sulla TV digitale. Certo, molti sostengono che non è un’indagine significativa perché è una telefonica, perché privilegia in modo troppo sospettoso Sky, perché un cliente importante di Eurisko è Auditel, perché Remo Lucchi, tra i fondatori di Eurisko e attuale amministratore delegato, ha più volte sottolineato “… non mi farete litigare con Pancini (direttore generale di Auditel – n.d.r.)”.

Mi sembrano obbiettivamente annotazioni maliziose e che non tengono conto che quanto meno nel mercato della televisione digitale Audistar esiste, contrariamente al mercato della stampa tecnica che non ha alcun supporto del genere, eppure viene pianificata. Francamente mi stimola molto di più la malizia la notizia che Sky Italia abbia chiesto di entrare in Auditel. Un po’ come se Cappuccetto Rosso andasse a bussare alla tana del lupo. Per Bacco. Auditel è una società sostanzialmente controllata da Rai e Mediaset, che esprimono 9 consiglieri di amministrazione su 17, comprendendo anche il Presidente Malgara (UPA), e dove gli altri 8 rappresentano UPA, Assap, La7 e FRT (Federazione che vede il Gruppo Mediaset come un socio innegabilmente importante).

Attualmente Sky Italia è riuscita ad ottenere l’inserimento di un proprio uomo, Vittorio Bossi (autore del libro “Auditel: un sistema aperto. Cos’è e perché funziona la ricerca TV”, pubblicato nel 2003) nel Comitato Tecnico di Auditel e a dar vita ad una fase sperimentale di rilevazione in cui sono coinvolte una trentina di emittenti satellitari, circa metà di proprietà di Sky e le rimanenti comunque ospiti della piattaforma, tra esse, per esempio, i canali Sitcom, società che ho già avuto modo di citare.

Fermiamoci un attimo a riflettere: Sky Italia vuole avere informazioni più precise di quelle attualmente in suo possesso sui suoi ascolti e sul suo target, in funzione di poter vendere di più e meglio i propri spazi pubblicitari (perché se no?) e quindi aumentare la quota degli investimenti a favore della televisione satellitare ovviamente a scapito di quella terrestre.

La maggioranza sia societaria che in consiglio di amministrazione di Auditel, società che indaga e certifica gli ascolti, è nelle mani degli editori di televisioni terrestri, gli stessi a cui il settore della televisione satellitare vorrebbe sottrarre una piccola fetta di investimenti pubblicitari (piccola o grande, sono sempre soldi).

A questo punto mi si consenta un pizzico di malizia perché mi pare che la logica del discorso non sia in linea con quell’estetica di ragionamento e di espressione di cui ho parlato poco fa.

Secondo voi i manager della Candy porterebbero le loro lavatrici a certificare la qualità in un istituto di proprietà della Merloni? Io credo proprio di no, è una questione di prudenza, ma anche di estetica (perché mettere in imbarazzo gli amici e colleghi della Merloni e i tecnici dell’istituto?) . Oppure si, però deve esistere un tornaconto che va al di là e che è più importante della certificazione stessa. Quindi le malizie su Audistar, in uno scenario così variegato e complesso appaiono quanto meno pretestuose, anche perché, se il problema fosse veramente la qualità dei dati Audistar sarebbe stato sufficiente sostenere l’indagine Audisat.

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