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QUELLO CHE SEGUE È IL CAPITOLO 14 DEL LIBRO “TIME OUT: UN MOMENTO DI RIFLESSIONE SULLA TV SATELLITARE, INTERNET E IL DIGITALE TERRESTRE TRA TECNOLOGIA, POLITICA E CONTENUTI”, SCRITTO DA MAURO MILANI NEL 2005.

Grazie alla sua capacità di penetrazione nelle economie e nelle società industrializzate internet, in quanto rete, ha sicuramente già da questi primi anni del 2000 conquistato un posto nel mercato della comunicazione e dell’informazione, affiancandosi, in quanto media, alla carta stampata, alla radio e alla televisione, sia essa analogica o digitale. Almeno concettualmente, o, meglio ancora, almeno in quanto rete, che, tutto sommato è l’unico vero elemento da cui non si può prescindere.

Allo stesso modo l’editoria cartacea non può prescindere dalla filiera costituita dalle cartiere, dalle tipografie e dalle edicole, per la produzione e la distribuzione del proprio prodotto. Così come radio e televisioni hanno nei tralicci, nelle antenne oppure oggi nel satellite e nel cavo, la propria rete su cui veicolare ciascuno la propria proposta, commerciale, informativa, sociale, ecc., così internet non è altro che una gigantesca rete elettronica in grado di unire e di far dialogare tutti i computer esistenti al mondo.

Internet è quindi un medium. Un medium che, come mai altri in precedenza, si concede a chiunque voglia comunicare qualcosa: il fenomeno dei siti e portali cosiddetti amatoriali ha assunto in internet dimensioni assolutamente importanti.

I costi richiesti da internet per sviluppare la propria voglia o esigenza di comunicare sono ridicoli (con circa 30 euro si acquista il dominio desiderato e con una minima, anche approssimativa, conoscenza di html si può mettere in rete il proprio sito e quindi la propria proposta comunicazionale). Nulla a che vedere con i costi richiesti dagli altri media.

Naturalmente i siti e i portali che nascono e crescono con il lavoro quotidiano di un gruppo di professionisti devono, e sottolineo devono essere diversi dai siti e portali amatoriali organizzati da un gruppo di amici più o meno virtuali. Ma non sempre è così.

Come ho già avuto modo di sottolineare internet, contrariamente alla televisione satellitare, è già un medium che può vantare un proprio pubblico e numeri di tutto rispetto.

Dell’importanza e delle dimensioni di questo medium se ne sono accorti ormai quasi tutti: lo sanno i giovani, che in internet vivono momenti di gioco, di studio, di comunicazione (chat e forum), di ricerca e di risparmio; lo sanno le segretarie che con internet possono prenotare i viaggi del capo praticamente in tempo reale, pagare le bollette e le multe (sempre del capo) direttamente dal proprio computer evitando le lunghe code alla posta e scambiarsi file e documenti con gli altri colleghi o con i clienti e i fornitori, velocemente e soprattutto avendo la possibilità, quando serve, di intervenire sul documento stesso con correzioni o variazioni o aggiunte (aspetto che chi lavora sa quanto sia importante e quanto il vecchio fax non consentisse proprio); lo sanno i contabili, che tramite il collegamento on line con la propria banca hanno la possibilità di verificare gli andamenti dei conti correnti, l’arrivo di sospirati bonifici da parte dei clienti, e di ordinare pagamenti, giri di conto ed effettuare essi stessi bonifici bancari.

Secondo un’indagine Kpmg i conti on line in Italia, già nei primi sei mesi del 2003 erano saliti a 5,2 milioni (a fine 2002 erano 4 milioni) pari a circa il 15% del totale dei conti correnti bancari.

Di questi, 1,7 milioni sono stati aperti on line senza la necessità di doversi recare allo sportello della banca. Una tendenza che, come osserva Kpmg, permette agli Istituti di credito di ottenere un duplice obbiettivo: da un lato fidelizzare la clientela più esigente e alla ricerca di soluzioni innovative e dall’altro ridurre i costi operativi destinando all’on line bonifici ed estratti conto e liberando così forza lavoro a favore delle attività consulenziali.

Chi non si è ancora accorto dell’importanza e delle dimensioni di questo medium sono proprio quelle categorie che più di altre potrebbero trarne beneficio.

Non se ne sono accorti tanti imprenditori, non se ne sono accorti tanti dirigenti e, peggio che mai, non se ne sono accorti tanti manager della comunicazione. Eppure internet è ormai un fenomeno straordinariamente evidente, a disposizione di tutti e alla portata di tutti.

Conoscerlo sarebbe molto semplice, sarebbe sufficiente entrarci e cominciare a perlustrarlo.

Invece no. Si preferisce rimanere nell’ignoranza perdendo così opportunità e tempo. Già perché la rete, sorretta dal pubblico, dalle famiglie, dai consumatori, dagli impiegati, dalle segretarie e dai giovani continuerà nella sua marcia inesorabile e alla fine anche il più pigro dei manager dovrà rassegnarsi o ad andare in pensione o a prendere in considerazione, in seria considerazione internet.

Già, perché non conoscere internet e nemmeno preoccuparsi di conoscerlo non è sintomo di stupidità, bensì di pura pigrizia.

Conosco persone di grande intelligenza e di grande acume intellettuale che si rifiutano, spesso senza riuscire a spiegare il motivo nemmeno a se stessi, di avvicinarsi alla tastiera del computer e di impugnare il mouse per entrare nella rete.

Lo stesso successe al telefono cellulare nei suoi primi anni di espansione in Italia e lo stesso in parte succede ancora per l’uso della messaggistica sms.

Harold Bloom, grande storico della letteratura, pare abbia detto: “per me internet è come il Congo: so che esiste ma non ci andrò mai“. In realtà Harold Bloom in internet c’è, eccome. Provate a chiedere a Google di fare una ricerca sul famoso critico, troverete 423.000 pagine internazionali in cui si parla di Bloom e 3.240 pagine in cui se ne parla nella sola lingua italiana.

Questo è un fatto, ma ciò non significa che Bloom sia uno stupido, significa semplicemente che ha detto una cosa stupida, probabilmente dettata dalla pigrizia di conoscere una cosa nuova. A chi non succede?

E’ noto che la differenza tra un genio e uno stupido è che il genio ha dei limiti.

L’internet italiano è quindi piuttosto indietro a causa, in primo luogo, della già citata pigrizia dei manager nostrani a studiare e conoscere le potenzialità del nuovo medium.

In uno slancio di obbiettiva comprensione voglio affiancare alla pigrizia un comprensibile timore dettato dai fatti che hanno caratterizzato la storia di internet in Italia.

C’è stato un momento, nella seconda metà degli anni ’90 che internet sembrava poter essere la panacea di tutti i mali: grandi investimenti, nascita di aziende con molte decine, se non centinaia di dipendenti (naturalmente “dipendenti” si fa per dire), quotazioni in borsa.

Tutti dovevano essere in internet, anche con un sito fetente e insignificante da un punto di vista comunicazionale, ma bisognava esserci. Non essere su internet sembrava significare non esistere (alcuni giornali hanno anche titolato degli articoli con questi toni).

Un grande fenomeno che in realtà si rivelò una gigantesca bolla speculativa e, come tutte le bolle, a un certo punto è scoppiata. Qualcuno ha fatto i soldi, molti soldi, la maggioranza ha dovuto invece capire che “giocare in borsa” è un modo di dire, in realtà si lavora.

I primi anni del nuovo millennio per l’internet italiano furono quindi un vero massacro: licenziamenti, chiusura di aziende, sparizione di portali che avrebbero dovuto garantire fama e denaro, tutto si ridimensionò e rimasero sul mercato solo gli operatori seri (in realtà esistono ancora infiltrazioni di cialtroni ma queste credo appartengano alla fisiologia dell’arte italiana dell’arrangiarsi a scapito del prossimo). Nel frattempo però maturò una sfiducia nel medium francamente comprensibile. Una sfiducia che probabilmente sarà completamente debellata solo nel secondo lustro del primo decennio 2000.

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