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Capitolo 2. Il fai da te nasce tra la sfiducia di produzione e distribuzione

a cura di Avatar photo

Il clima di sfiducia in cui è stato costretto a crescere il mercato italiano del bricolage nei suoi primi vent’anni (non venti mesi o venti giorni) era assolutamente evidente e ovviamente controproducente.

Che il bricolage potesse essere un’opportunità mercantile importante era escluso da gran parte della produzione e della distribuzione (ferramenta e colorifici).

Il consumatore privato era considerato una sorta di seccatore che per comprare un pizzico di chiodi, per di più discutendo sul prezzo, faceva perdere un sacco di tempo.

L’hobbista, che invece garantiva un buon fatturato con acquisti importanti, per esempio gli elettroutensili o addirittura le macchine per la lavorazione del legno, era considerato quasi un pazzo appartenente ad una ristrettissima cerchia di tossicodipendenti da segatura e trucioli di legno.

Il risultato di questo approccio generale fu un rigetto del bricolage da parte della distribuzione tradizionale, che spesso preferì andare incontro alla chiusura del punto di vendita piuttosto che operare un’evoluzione verso il consumatore privato, ma anche di gran parte del mondo della produzione, che, per tanti anni, si rifiutò di prendere in considerazione un adeguamento delle caratteristiche dei prodotti, delle confezioni e delle modalità di proposta a favore del consumatore privato.

D’altro canto il cliente storico della distribuzione tradizionale era l’artigiano, l’officina e la piccola e media impresa.

Come la distribuzione anche la produzione era da sempre cresciuta servendo il target dei professionisti e,come spesso accade in Italia, il cambiamento, l’evoluzione o il rinnovamento non sono ben visti.

La distribuzione temeva di perdere tempo con il consumatore privato e le aziende produttrici temevano di perdere la distribuzione tradizionale e il fatturato che da decenni le garantiva.

Nemmeno la nascita della grande distribuzione specializzata (il primo BricoCenter de La Rinascente aprì nel 1983) riuscì a smuovere le convinzioni dell’epoca sull’inopportunità del bricolage.

Solo negli anni ’90, con la significativa crescita della grande distribuzione specializzata e con l’ingresso del bricolage negli iper e nei supermercati, le cose sono cominciate a cambiare: le aziende si sono adeguate e la distribuzione tradizionale ha cominciato a prendere in considerazione il “centro fai da te” come una soluzione commerciale valida per il futuro.

Le testimonianze storiche che vi riporto di seguito ritengo che ben descrivano la situazione di mercato in cui i pionieri del bricolage nazionale si dovettero muovere. Nel 1981, l’Ente Nazionale per la Promozione del Fai da Te, organizzatrice del Salone Fai da Te di Milano, lanciò un appello molto preciso:

Il trinomio produzione-commercializzazione-consumo non ha ancora raggiunto quell’andamento ottimale che consente quella logica di profitti reciproci sulla quale si regge una sana economia in un regime di libero scambio … E’ quindi auspicabile che, tutti insieme, troviamo le soluzioni dei molti problemi che, a tutt’oggi, ostacolano il raggiungimento di una situazione ideale. Vorremmo che cessasse la paura di certi operatori di perdere una fascia di clientela intermedia, se si rivolgono all’utilizzatore finale. E’ auspicabile cercare maggiormente il profitto sui grandi numeri piuttosto che inseguire percentuali di ricarico che, inevitabilmente, rallentano la velocità di smercio. E’ auspicabile altresì che possano funzionare finalmente i gruppi d’acquisto dei dettaglianti, non solo al fine di inseguire maggiori vantaggi economici, bensì per collaborare allo studio di confezionamenti idonei, di prodotti di sicuro smercio, di incentivazioni rispondenti alle reali necessità del consumatore“.

Un appello che i fatti della storia del bricolage italiano ci dicono inascoltato e allora, due anni dopo, nel 1983, in occasione del 6° Salone Fai da Te, l’Ente Nazionale,  probabilmente alla luce della recente nascita della grande distribuzione specializzata proclama, con un linguaggio che a onor del vero ricorda la sceneggiatura di Star Treck, l’inizio di una nuova era.

Il mercato del fai da te – si legge nella pagina di apertura del catalogo del Salone – dopo la fase del lancio nei primissimi anni e dopo quella successiva del consolidamento e del progresso, è ora entrato nella terza e più complessa fase: quella della metamorfosi. Le maglie del tessuto di questo mercato si sono infittite; trama e ordito sono stati ridisegnati con tratti più differenziati e al tempo stesso armonici; il suo spessore si è fatto più consistente senza tuttavia perdere la flessibilità necessaria a seguire le nuove esigenze dell’utente, il praticante del fai da te, e le nuove mode … I momenti della metamorfosi del dinamico mercato del fai da te in Italia sono tre: 1) il raggruppamento di articoli e materiali del fai da te, prima sparsi negli empori e mescolati con altri prodotti, in una sezione fai da te dello stesso punto vendita, sezione ben evidenziata e individuabile, servita da personale specializzato; 2) la trasformazione radicale di negozi ed empori generici in punti di vendita esclusivamente dedicati al fai da te; 3) la nascita ex novo di ipermercati del bricolage ad opera delle grandi catene di distribuzione“.

Un tono talmente perentorio che ci si aspetterebbe un finale del tipo “… e adesso sbrigatevi!”.

In realtà di questa inquietante fase della metamorfosi non si ebbe traccia, se non nella effettiva nascita e crescita della grande distribuzione specializzata.

Le aziende produttrici e la distribuzione tradizionale in quegli anni proprio non ne volevano sapere, salvo le dovute eccezioni che confermano pur sempre la regola.

Significativo in questo senso fu un intervento che Amedeo Vinciguerra, uno dei padri di BricoCenter e quindi del bricolage italiano, fece nell’ambito di un convegno dal tema “Tendenza del mercato del fai da te e mobile in kit – Prodotti e servizi richiesti dalla grande distribuzione organizzata” tenutosi il 19 novembre 1987 (quattro anni prima l’inizio della cosiddetta “metamorfosi”).

“… oggi però – spiegava Amedeo Vinciguerra – esistono forse difficoltà di realizzare prodotti per la vendita in centri di bricolage e pertanto chiediamo ai nostri produttori che non siano solo dei buoni produttori e basta, ma si devono sentire nostri collaboratori e se credono nello sviluppo del bricolage devono soddisfare quelle che sono le esigenze del consumatore, devono quindi modificare il sistema produttivo e distributivo che sino a oggi si è rivolto al tradizionale e all’industria. Ma per riassumere meglio questo concetto vorrei farvi un esempio: all’apertura del primo BricoCenter (1983 – n.d.r.) avevamo la necessità di commercializzare perline di prima qualità in quattro essenze, sia grezze che verniciate, in altezze di un metro, due metri e tre metri, con didattica per la posa e con consegne per il punto di vendita ogni 15 giorni di calendario. Bene, ci siamo trovati di fronte a produttori che ci consideravano non dei commercianti ma degli utopisti. Infine abbiamo trovato un “collaboratore-fornitore”, il quale, pur non credendo al successo della nostra iniziativa, ma considerandoci dei professionisti, ha deciso di giocare con noi. Oggi a quattro anni di distanza il gioco si è fatto per ambedue decisamente interessante. Come questo esempio ve ne sono tanti altri“.

L’esempio portato da Vinciguerra è datato 1983, ma a testimoniare la grande lentezza delle aziende produttrici ad avvicinarsi al bricolage e alle esigenze del suo consumatore, motivata dalla sfiducia nelle possibilità e potenzialità del settore stesso (oltre che dalla preoccupazione di andare contro le convinzioni della distribuzione tradizionale, magari creando tensioni che avrebbero potuto portare alla perdita di clienti), riporto uno stralcio di una risposta che Vinciguerra fornì a un operatore intervenuto nel corso del fitto dibattito che caratterizzò la conclusione del convegno.

“… troviamo delle grossissime difficoltà – afferma Vinciguerra -. Difficoltà dovute alla mentalità propria del settore, noi oggi (1987 – n.d.r.) stiamo cercando dei listelli, ma i listelli in Italia si vendono a metro cubo, non si vendono a metro lineare, ma al mio consumatore il listello devo venderlo a metro lineare: spiegatemi come devo fare per vendere il listello a metro lineare se non riesco a trovare un fornitore in grado di soddisfare questa mia esigenza. Questi sono esempi banali, forse ovvi, che però solo la realtà di tutti i giorni dei compratori della grande distribuzione di un mercato emergente come quello del bricolage“.

Se la produzione dimostrava, salvo sempre le giuste eccezioni, la sua diffidenza nei confronti della crescita del bricolage, la distribuzione tradizionale era ancora più perentoria, proponendo un’analisi di totale sfiducia nelle possibilità di sviluppare un giro d’affari decente con il consumatore privato.

Per farvi capire con precisione il punto di vista della distribuzione tradizionale vi ripropongo un’intervista che feci nel 1989 a Sergio Bellotti in qualità di presidente del sindacato ferramenta di Assofermet.

E’ importante sottolineare che nel 1989 erano già ormai 15 anni che si parlava dell’affermazione del bricolage in Italia e da sei anni le catene di grande distribuzione erano cresciute esprimendo una trentina di punti di vendita, ma soprattutto erano già scese in campo insegne importanti quali, per esempio: La Rinascente con BricoCenter, la Coop con BricoIo e il gigante francese Castorama.

Nonostante questo Sergio Bellotti affermava:

Credo che in primo luogo sia indispensabile verificare come la vendita dei prodotti di ferramenta sia in aperta contraddizione con quelli che sono i dettami di base che caratterizzano l’attività della grande distribuzione in qualsiasi mercato. Punto di partenza di tali considerazioni non può che essere la constatazione che i prodotti di ferramenta non sono certo considerabili di largo consumo, anzi essi sono certamente beni durevoli il cui acquisto è generalmente dettato dalla necessità. E’ notorio che chi acquista ed installa una maniglia può avere risolto il proprio problema per tutta la vita“.

Lo sviluppo nel tempo di un marketing di settore orientato non solo alla soddisfazione ma anche e forse soprattutto, alla creazione di bisogni ci ha dimostrato che il ciclo di vita dei cosiddetti beni durevoli può essere significativamente ridotto a fronte di una forte carica innovativa dell’offerta.

Lo abbiamo visto nel mercato dell’elettrodomestico dove la sostituzione non è più come un tempo, determinata esclusivamente dalla rottura definitiva dello stesso, magari dopo vent’anni di fedele attività.

Sempre più spesso l’elettrodomestico si cambia perché i nuovi modelli offrono prestazioni migliori, un design più ricercato e in linea con i tempi, un importante risparmio energetico e comunque contenuti di innovazione che invogliano alla sostituzione anche se non espressamente e tecnicamente necessaria.

Sempre di più un qualsiasi guasto anche se perfettamente riparabile con un costo contenuto, risulta essere il migliore pretesto per sostituire l’elettrodomestico.

Questo fenomeno è eclatante se parliamo dell’apparecchi televisivo e in generale degli impianti audio e video, lo è un po’ meno, anche se è comunque una tendenza assolutamente significativa, se parliamo di lavatrice e frigorifero.

Che dire poi del fenomeno Ikea, che è riuscita a convincere non solo gli italiani, ma i consumatori di tutto il mondo che si può cambiare l’arredamento della casa, i mobili della sala o della camera da letto o della camera dei bambini anche nel giro di pochi anni.

Non è e non può essere la filosofia dell’usa e getta, però dell’usa e rinnova si.

Sappiamo qual è la dimensione del successo di Ikea, una catena distributiva mirata sul mercato del mobile, un bene che certamente deve essere compreso tra i durevoli.

Ma torniamo all’analisi di Sergio Bellotti.

Inoltre la ferramenta è caratterizzata da articoli di basso prezzo, che non hanno fatturato: le ferramenta tradizionali, soprattutto per quanto riguarda le migliaia di referenze di minuteria, hanno sempre sostenuto che la vendita di tali prodotti dà un buon utile ma non un alto fatturato quotidiano. Non a caso la merceologia storicamente affiancata alla ferramenta è da sempre l’utensileria, caratterizzata da prodotti che invece permettono un alto fatturato e, proporzionalmente, un utile sensibilmente inferiore alla ferramenta. E’ in questo senso che i nostri articoli non possono essere considerati in linea con i motivi che ispirano la grande distribuzione

Domanda: il fenomeno della grande distribuzione in Italia nel nostro settore è tuttavia da legare ad una crescita dei consumi e ad una graduale espansione della pratica del fai da te, almeno questo è quanto viene certificato dalle statistiche europee oltre che dagli stessi trend di alcune aziende. In questo senso non sarebbe opportuno da parte delle ferramenta una maggiore attenzione per il privato, fino ad oggi mal considerato, soprattutto quando si è proposto per l’acquisto di minuteria?

I discorsi di fai da te e di giardinaggio – sottolineava Sergio Bellotti – sono sempre esistiti con diverse sfaccettature nelle varie regioni e provincie d’Italia. In questo senso le ferramenta, come i consorzi agrari, hanno sempre analizzato e soddisfatto le esigenze del proprio bacino d’utenza, con prodotti di qualità e con un ottimo grado di consulenza. Le ferramenta non si sono mai rifiutate di servire un cliente, pur se privato, l’importante è che si tratti di una persona che abbia veramente voglia di lavorare. E’ certo che la casalinga che vuole il pizzico di chiodi non è il nostro cliente ideale. Per quanto riguarda lo sviluppo del fai da te in Italia ritengo che sia estremamente labile e circoscritto ad alcune zone. Molti cosiddetti esperti adducono come motivi di crescita del fai da te nel nostro Paese l’aumento del tempo libero e del benessere generale. Ebbene, personalmente credo che l’Italia abbia un clima, costumi e abitudini diverse rispetto al resto d’Europa: i giovani escono dalla casa paterna molto più tardi rispetto ai coetanei europei, in più quando si sposano entrano generalmente in un appartamento, possibilmente di proprietà, già completamente arredato anche nei minimi particolari. Inoltre non dimentichiamo che in Italia prolifera in maniera addirittura impressionante il secondo e molte volte anche il terzo lavoro; ciò significa per l’utente avere a disposizione una manovalanza a prezzi estremamente contenuti rispetto a quelli vigenti sul mercato. Basti pensare che in una città come Milano il 70% delle porte blindate è stato installato da secondo-lavoristi. In sostanza ritengo che l’italiano, se non ha problemi di natura economica, preferisce passare il fine settimana al mare, ai monti, allo stadio o al bar pagando una persona per risolvere i problemi di fai da te casalingo. E’ ovvio che in questo contesto la sopravvivenza di una ferramenta non può essere legata al privato, che tuttavia in alcune zone è una realtà importante, ma al professionista. In termini generali comunque non si può escludere che in Italia possono esistere quelle poche migliaia di persone che praticano il fai da te, però in questi casi ritengo più corretto parlare di hobby, esattamente paragonabile al modellismo, quindi con i suoi punti di vendita specializzati.

Domanda: al di là delle considerazioni che si possono fare sulla reale espansione o meno del fai da te in Italia, molte aziende stanno lavorando per facilitare il contatto del pubblico con gli articoli di ferramenta, tentando di arginare al minimo la perdita di tempo da parte del negozio. Alludo soprattutto alla minuteria confezionata, cioè a quegli articoli di basso prezzo che, nell’ambito di un acquisto unitario, risultano economicamente perdenti per una ferramenta. Non crede che questo potrebbe essere un compromesso per permettere alle rivendite tradizionali di seguire comunque gli sviluppi del mercato privato?

Il discorso dell’articolo di ferramenta confezionato, e in particolare la minuteria, è ancora una volta mutuato da Francia, Germania e da tutti quei Paesi europei che, come ho già sottolineato, hanno un pubblico di consumatori estremamente diverso dal nostro. In Italia manca completamente una cultura specifica sul nostro settore: il discorso del prodotto confezionato sarà accettabile solo quando qualcuno sarà in grado di mutare la mentalità della gente che, ad oggi, non è disposta a pagare il giusto prezzo per una rondella imbustata, in quanto si rende conto che all’atto dell’acquisto non sta pagando il prodotto ma la confezione. Ricordiamoci a questo proposito che in Italia la maggioranza delle persone pretende ancora il pizzico di chiodi o le quattro viti gratis. Non solo. Noi pretendiamo di acquistare prodotti in ferro a 2.000 lire al chilo, quando i sacchi di plastica, cioè un materiale di scarto della lavorazione del petrolio, li paghiamo invece tranquillamente 7.000 lire al chilo. Sulla base di queste considerazioni è ovvio che una ferramenta non può sostenere la vendita di minuteria confezionata, anche perché, e questo è un altro importante aspetto, al risparmio di tempo all’atto della vendita, si contrappone una laboriosa gestione dello spazio espositivo. Un problema che, forse, non hanno tenuto ben presente i sostenitori della grande distribuzione.

Domanda: visto che è ritornato sul discorso grande distribuzione, mi può spiegare, considerando il contesto che mi ha illustrato, come è giustificabile l’enorme attenzione che le catene di grande distribuzione estere stanno dedicando al mercato italiano?

Se analizziamo il bilancio di una catena di grande distribuzione – spiega Sergio Bellotti – scopriamo che su 100 lire di utile, 80 vengono dalla gestione finanziaria e 20 dalla gestione economica dell’azienda. Questa realtà è resa possibile dalle condizioni imposte dalla grande distribuzione e che si concretizzano in pagamenti esageratamente dilazionati nel tempo, per forniture con scadenze quindicinali. Ecco perché i produttori europei quando si affacciano al mercato italiano fuggono rapidamente dopo una prima analisi delle situazioni contrattuali con la distribuzione. Il contrario evidentemente accade per le catene di grande distribuzione che invece si trovano nella condizione di avvantaggiarsi di un gestione finanziaria dei debiti che permette utili colossali“.

Domanda: a conclusione dell’intervista possiamo azzardare qualche previsione sul futuro del settore?

Non è facile – dice Bellotti -. E’ difficile individuare i possibili sviluppi in una Nazione che sta attraversando un periodo di grande decadenza. Il futuro probabilmente sarà uguale al presente. Per la grande distribuzione di prodotti per il fai da te accadrà ciò che abbiamo già visto in altri settori del food e del non food. I supermercati si faranno concorrenza tra di loro e i punti di vendita tradizionali troveranno le loro collocazioni. Noi stimiamo gli articoli delle ferramenta in circa 150.000 referenze (stima dettata dai 120.000 articoli trattati dalla vecchia Morassutti). Nell’ambito di queste la grande distribuzione ha già attinto alcuni prodotti a danno della rivendita tradizionale: il trapano, per esempio, sempre meno trattato dalle ferramenta, è uno di essi, tuttavia, e considerando la vastità di articoli, il problema non sussiste in quanto risulta molto facile sostituire una merceologia con un’altra. La grande distribuzione potrà vendere le maniglie di massa, ciò significherà che nelle ferramenta troveremo le maniglie d’elite. Inoltre dobbiamo tenere presente che il cliente delle ferramenta è e rimarrà il professionista: l’architetto o l’arredatore non andranno mai ad acquistare le maniglie in un grande magazzino. Il confronto con la grande distribuzione quindi non ci turba“.

Questo clima di tendenziale sfiducia che per tanti anni si è registrato sia tra i produttori che tra la distribuzione tradizionale, ha avuto, come è naturale che sia, alcune virtuose eccezioni. L’imprenditore che più di tanti altri ha tentato di vincere la resistenza verso lo sviluppo del concetto di bricolage e che si è prodigato nell’impegno a creare coesione tra aziende diverse, appartenenti a diversi mercati, ma che avrebbero dovuto essere legate da quella che era da considerare come una nuova e straordinaria opportunità, fu Paolo Limena, imprenditore nel settore del mobile in kit con il marchio Intercom e presidente del Gruppo Fai da Te della Federlegno-Arredo, un gruppo nato nella prima metà degli anni ’80 per rappresentare le aziende del comparto legno orientate al nuovo mercato del bricolage e in particolare allo sviluppo della grande distribuzione specializzata e all’ingresso del legno e del mobile in kit nella grande distribuzione organizzata (iper e supermercati). Era il 25 settembre 1987 quando, nel corso di un’assemblea del Gruppo, fu nominato un nuovo Consiglio Tecnico che, rispetto ai precedenti, veniva allargato a merceologie, in una logica di interpretazione del bricolage in quanto settore, adiacenti al mobile in kit e al semilavorato in legno tipiche del Gruppo stesso. In tale Consiglio Tecnico furono eletti: Paolo Limena (presidente) per il comparto mobili i kit e prodotti per il fai da te; Cesare Rossi, per il settore porte e finestre; Pierpaolo Bonori per la ferramenta; Paolo Fantoni per i pannelli; Sergio Farnè per aste e cornici; Gualtiero W. Rovaris per i pannelli prefabbricati e mobili in kit; Adriana Spazzoli per i materiali per l’edilizia in confezione self service, collanti, adesivi e sigillanti; Guenther Wisthaler per le perline e i rivestimenti.

Come è evidente dalla composizione del Consiglio Tecnico il Gruppo Fai da Te della Federlegno volle dimostrare la propria disponibilità a porsi come punto di riferimento associativo per le aziende che avevano interessi commerciali nel nascente mondo del bricolage partendo da un allargamento dall’interno, è infatti evidente che le merceologie rappresentate erano per la maggior parte comprese nel grande comparto del legno (aste e cornici, pannelli, ecc.), tuttavia fu importante lo sforzo di Paolo Limena nel convincere la Federlegno e gli imprenditori associati in altre associazioni di categoria comprese nella Federlegno a convergere anche in un Gruppo che si caratterizzava in maniera specifica verso il mercato del fai da te. L’obbiettivo da raggiungere era quello di coinvolgere anche gli altri mercati e le altre aziende tipiche del bricolage nazionale: gli utensili, gli elettroutensili, i colori e le vernici, le macchine per la lavorazione del legno e via di seguito.

Un rapido ampliamento – dichiarò Paolo Limena nel novembre del 1987, in un’intervista che gli feci in qualità di responsabile dell’ufficio stampa del Salone Internazionale Fai da Te di Milano – è sicuramente l’obbiettivo primario e più importante da raggiungere. Solo se tutte le aziende di tutte le merceologie caratterizzanti il fai da te daranno il loro contributo e il loro apporto di esperienza sul settore, si potranno portare avanti iniziative e quindi avere risultati a breve termine… se si considera il mercato italiano del fai da te rispetto a quello del resto d’Europa, non possiamo far altro che rilevare quanto esso sia ancora allo stato nascente. Noi, come produttori, possiamo quindi evitare la classica massa di errori iniziali usufruendo dell’esperienza di quelle altre nazioni che nel settore fai da te, visto in un’ottica di grande distribuzione, sono molto più avanti di noi… A questo punto – concludeva Paolo Limena – sta ai colleghi produttori dimostrare quanto credono in questo mercato, impregnandosi tutti insieme per farlo crescere rapidamente. E’ ovvio, penso lo si sia dimostrato e lo si dimostrerà sempre di più in futuro, che da parte del Gruppo Fai da Te della Federlegno-Arredo, c’è la massima disponibilità.

Un impegno e un messaggio che in realtà cadde nel vuoto.

Le aziende degli altri comparti merceologici tipici del bricolage non si associarono e il Gruppo Fai da Te della Federlegno-Arredo ritornò ben presto alla sua dimensione limitata del mobile in kit.

Bisogna dire che Paolo Limena, sicuro della necessità di un’associazione che studiasse e rappresentasse il mondo produttivo del bricolage italiano (e aveva ragione; a tutt’oggi l’Italia è l’unico Paese dell’Europa occidentale a non avere un associazione di riferimento), non mollò e ci riprovò qualche anno dopo nell’ambito di Mitech, la mostra della ferramenta, utensileria e fai da te di Milano.

Ma di questa esperienza vi parlerò più avanti.

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