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QUELLO CHE SEGUE E’ IL CAPITOLO 8 DEL LIBRO “TIME OUT: UN MOMENTO DI RIFLESSIONE SULLA TV SATELLITARE, INTERNET E IL DIGITALE TERRESTRE TRA TECNOLOGIA, POLITICA E CONTENUTI”, SCRITTO DA MAURO MILANI NEL 2005.

Parlare di digitale terrestre significa parlare del futuro non solo della televisione, ma soprattutto della comunicazione, quando si saranno scoperte e sperimentate le soluzioni possibili grazie all’utilizzo dell’interattività.

Si parla di futuro ma, in questo caso, di un futuro certo, è infatti la celebre legge del ministro Gasparri che fissa nel 31 dicembre 2006 la data ultima di conversione della televisione terrestre analogica (quella che conosciamo) in digitale terrestre.

Un passaggio graduale ma considerando la complessità della tecnologia e dello studio comunicazionale delle sue potenzialità piuttosto veloce. La copertura dell’intero territorio nazionale con il segnale digitale (Dvb-T) è fissata entro il 2006.

Prima di passare alla sostanza dei problemi posti dal digitale terrestre è bene capire il significato tecnico di questa evoluzione, perché di evoluzione si tratta. Tenete conto che la tecnologia digitale tutti noi la usiamo già comunemente da anni quando saliamo in macchina, quando accendiamo il computer, quando usiamo un elettrodomestico, quando facciamo una foto con una moderna fotocamera appunto digitale e in molte altre occasioni.

E’ la televisione che in realtà è l’ultima arrivata nel mondo digitale: se ci fermiamo un attimo a pensare ci rendiamo conto che in effetti l’unico momento tecnologicamente rivoluzionario per la televisione è stata l’introduzione del colore. Un po’ poco.

Il sistema analogico a cui siamo abituati è composto da un segnale elettronico che parte da una fonte (per esempio le antenne Rai) e viene trasmesso nelle case sotto forma di una portante radio. Il digitale terrestre invece si basa sulla trasmissione del segnale audio e video mediante uno standard tecnologico di riferimento, il Dvb (Digital Video Broadcasting) per l’Europa e l’Atsc per gli Stati Uniti, che si avvale di un sistema di compressione, Mpeg2, che trasforma il segnale in un algoritmo numerico, trasmesso poi via etere da un ripetitore all’altro.

La compressione Mpeg2 è necessaria perché il segnale digitale, di qualità assolutamente più elevata rispetto a quello analogico, occuperebbe altrimenti una banda di trasmissione troppo ampia e oggi tecnicamente non disponibile. Il segnale così compresso viaggia a circa 4-6 Mbit al secondo, tenete conto che in una banda analogica (fino ad oggi occupata interamente da un solo canale televisivo) possono viaggiare flussi da 24 Mbit/sec.

Ecco perché si dice che il digitale terrestre potrà quadruplicare e anche di più il numero dei canali televisivi. L’esempio più esplicativo riguarda l’idraulica: immaginate il tubo dell’acquedotto della vostra città, il quale è dotato della giusta “portata” in modo da consentire, aprendo il rubinetto di casa, l’erogazione dell’acqua necessaria e sufficiente. Ebbene, se si potessero applicare le tecnologie digitali anche all’acqua doveste immaginare che, allo stesso tubo da cui vi arrivava la normale acqua potabile, potreste collegare quattro rubinetti dai quali, con la stessa portata necessaria e sufficiente di prima, escono quattro tipi di acqua diverse (naturale, frizzante, leggermente frizzante e termale, per il rubinetto del bagno).

Normalmente per poter ottenere un simile risultato occorrerebbe quadruplicare i tubi dell’acquedotto, invece con la tecnologia digitale e il relativo sistema di compressione è possibile, comprimere appunto, ogni singolo tipo di acqua tanto da farne passare quattro volte tanta nel vecchio tubo.

Quindi il segnale Dvb-T (la T sta per terrestre) viene trasmesso utilizzando le stesse postazioni già usate per la trasmissione analogica, in modo da arrivare nelle case attraverso i sistemi d’antenna, individuali o condominiali, già esistenti.

Naturalmente sia il segnale elettronico del vecchio sistema analogico, che il segnale digitale compresso il algoritmo numerico prima di entrare nel nostro televisore devono essere, banalizzando il concetto, trasformati in immagini e suoni.

A questo ci pensava un convertitore A/D nella televisione analogica, mentre il segnale digitale ha bisogno di essere decodificato, cioè bisogna tradurre i numeri in immagini e suoni. Questo è il lavoro del decoder, che nel caso del digitale terrestre viene chiamato Set Top Box.

Oltre alla moltiplicazione dei canali possibili, la tecnologia digitale consente anche un miglioramento straordinario della qualità di suoni e immagini, che arriva ad essere pari a quella che oggi possiamo apprezzare da un Dvd, eliminando tutti i possibili disturbi e interferenze derivanti fino ad oggi dalla conversione del segnale elettronico in analogico.

In sostanza mentre la vecchia televisione analogica si poteva vedere bene, meno bene, disturbata, nebbiosa e quant’altro, la nuova televisione digitale terrestre non ha mezzi termini o la si vede molto bene o non la si vede per niente.

Globalmente quindi l’evoluzione della televisione verso il digitale terrestre non può che essere considerata positiva: un numero di canali maggiore e una qualità maggiore.

Non entrerò in questa sede in alcuna analisi rispetto alla gestione del digitale terrestre, perché, allo stato attuale, con solo 400.000 set top box nelle case degli italiani e un numero di canali estremamente ridotto rispetto alle reali potenzialità, ritengo che ogni polemica (e ce ne sono già in atto parecchie da più parti) non possa altro che essere pretestuosa.

Mi limito a registrare che le uniche aziende che hanno le caratteristiche richieste dalla legge per gestire le frequenze del digitale terrestre sono Rai, Mediaset e Telecom. Infatti queste sono le tre realtà che attualmente gestiscono il digitale terrestre in Italia, riunite peraltro in una associazione la DGTVi.

L’Associazione – leggo dalla presentazione della stessa nel sito ad essa dedicato: www.dgtvi.it – ha come fine di promuovere tutte le iniziative volte all’interoperabilità delle reti e dei servizi interattivi; è un organismo aperto nei confronti dei terzi ed opera in modo non discriminatorio nei confronti di tutti gli operatori del settore e degli utenti finali. Scopo dell’Associazione è di cooperare, in costante consultazione con il Ministero delle Comunicazioni, l’Autorità Garante delle Comunicazioni ed ogni altra autorità competente ed in linea con la rilevante normativa europea e nazionale, alla transizione dal sistema analogico a quello digitale nei tempi previsti dalle leggi vigenti.

Tutto in regola quindi, ci mancherebbe, però quello che mi insospettisce è che in sostanza il digitale terrestre è affidato ancora una volta agli stessi operatori di sempre, rinvigorendo così il duopolio Rai-Mediaset, con una Telecom che, con l’annuncio di un accordo con Microsoft, ha annunciato il suo interesse per lo sviluppo della televisione via ADSL.

Al momento non si può dire che il duopolio Rai-Madiaset abbia garantito e tutelato la pluralità dell’offerta, con il digitale terrestre sarà invece così? Lo spero e dovrebbe essere così.

Su questo tema sono d’accordo con Carlo Sartori, presidente di Rai Sat, quando afferma: “Un tempo si rispondeva: i canali sono pochi, bisogna soddisfare le grandi maggioranze del Paese. Oggi, domani, con il digitale terrestre, questa sarà soltanto una stupida scusa“.

In realtà questa dichiarazione è stata rilasciata nell’aprile del 2004 quando Carlo Sartori aveva la delega da parte di Rai al digitale terrestre, delega che gli è stata successivamente revocata.

Un dettaglio, sono sicuro che la serietà e il rigore professionale che bisogna riconoscere a Sartori non lo porteranno a smentire nei fatti questa dichiarazione. Il problema è un altro ed è legato all’inaccessibilità da parte di editori di canali tematici alle frequenze gestite da Rai, Mediaset e Telecom a causa del costo elevato di affitto della frequenza.

Attualmente la Rai ha ricevuto 40 manifestazioni di interesse per la gestione dei suoi canali liberi, tra cui anche China Central Television. Per il momento non si sa quanto sarà il costo dell’affitto di un canale per un anno. Nei corridoi si parla di 4 milioni di euro all’anno, cinque volte tanto rispetto al costo richiesto dal satellite. E’ evidente che se questa sarà l’entità reale dell’esborso richiesto, potranno accedere alle frequenze solo editori ed emittenti gradite o controllate da Rai e Mediaset, per gli altri è difficile immaginare che possano trovare spazio.

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