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Che fine hanno fatto le applicazioni tecniche?

a cura di Avatar photo

Lo scrittore Luca Goldoni, nel suo libro “E’ successo qualcosa?” del 1974, ammetteva la sua cronica e a tratti imbarazzante preparazione tecnica.

Il celebre autore ammette che all’età di 15 anni era convinto che svitando una lampadina, il flusso di corrente continuasse ad espandersi nella stanza.

A noi questa convinzione sembra equiparabile, in termini di gravità della lacuna, alla convinzione che Dante Alighieri sia il titolare dell’omonima fabbrica di olio: il famoso olio Dante, pubblicizzato in televisione.

Eppure non è così.

Gli italiani sono pronti a gridare allo scandalo su un congiuntivo sbagliato o peggio ancora sull’ignoranza dei capisaldi della cultura umanistica nazionale (Dante, Petrarca, Boccaccio, Leopardi, Manzoni, Pascoli, Ungaretti, Quasimodo, Montale).

Sono già più tolleranti sulla mancanza di conoscenza dei grandi nomi delle arti figurative (Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Botticelli, Tintoretto, Giotto, Segantini, Modigliani, Guttuso).

Risolvono invece con un comprensivo sorriso qualsiasi strafalcione sui grandi personaggi, eventi o argomenti della scienza e della tecnica (Pitagora, Euclide, Archimede, Galilei, Volta, Marconi, Galvani, Fermi, Meucci).

Ma lo stesso comprensivo sorriso lo ritroviamo anche se, molto banalmente, ci si trova in difficoltà nell’individuare con immediatezza il risultato di 7 x 6 (valutate voi stessi il tempo che ci avete messo per farvi venire in mente il risultato e paragonatelo al tempo di reazione della vostra mente rispetto al binomio: Dante Alighieri-Divina Commedia, oppure Manzoni-Promessi Sposi).

Per curiosità più che per informazione.

Nella primavera del 2000, l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha realizzato un’indagine sui livelli di cultura matematica e scientifica degli studenti di quindici anni.

A questa gigantesca ricerca, denominata PISA (Programme for International Student Assessment, cioè programma internazionale per la valutazione del profitto degli studenti) parteciparono 31 nazioni e i test coinvolsero oltre 250.000 studenti.

Posta a 500 la media totale del livello di cultura matematica e scientifica dei ragazzi, scopriamo che gli italiani esprimono un livello di preparazione a dir poco imbarazzante, decisamente sotto la media e davanti solamente ai colleghi di Portogallo, Grecia, Lussemburgo, Messico, Brasile e Lettonia.

Se poi dalla cultura matematico-scientifica si passa alla cultura tecnica e tecnologica non si può che rilevare il progressivo e inequivocabile disinteresse della scuola italiana a preparare i nostri ragazzi in tal senso.

I lettori più maturi ricorderanno quando, nel 1963, il Ministro della Pubblica Istruzione del Governo monocolore DC presieduto da Amintore Fanfani, Luigi Gui firmò la legge 1859/62 i cui programmi furono emanati con il DM del 24 aprile 1963.

Si trattò della riforma che sostanzialmente istituì le scuole medie così come le conosciamo rendendole obbligatorie.

Tra le materie del programma scolastico venne inserita “applicazioni tecniche“, con la differenziazione tra maschili e femminili.

Erano tre ore settimanali obbligatorie per il primo anno, che diventavano facoltative per il secondo e il terzo anno, già, perché sin da allora le applicazioni tecniche erano considerate una materia di secondaria importanza.

In quegli anni i maschi si divertivano e imparavano moltissimo. Facevano piccoli progetti, andavano in laboratorio a realizzarli con il traforo e il compensato, imparavano a collegare i fili per accendere una piccola lampadina, eseguivano gli esperimenti studiati durante le ore di scienze e molto altro ancora.

Alle femmine andava molto peggio con il ricamo, l’uncinetto e il punto croce.

Con il DM del 9 febbraio 1979, promulgato dal Governo DC-PRI-PSDI presieduto da Giulio Andreotti e con il repubblicano Giovanni Spadolini al Ministero della Pubblica Istruzione, si rese applicativa la legge 348/77, approvata dal Governo pentapartito (DC-PRI-PSI-PSDI-PLI) presieduto da Giulio Andreotti con il democristiano Franco Maria Malfatti alla Pubblica Istruzione.

Una nuova riforma che, tra l’altro, trasformò le applicazioni tecniche in “educazione tecnica“, cancellando la diversità di programma tra maschi e femmine, mantenendo le tre ore settimanali ma rendendole obbligatorie anche per le classi 2° e 3° e, purtroppo, definendo un programma assai più teorico con la conseguente eliminazione di ore di laboratorio a favore dello studio in classe.

Un primo schiaffo a quella già scarsa cultura della manualità, in attesa del vero pugno nello stomaco quando nel 1990 (Governo Andreotti), a causa dei tagli alla scuola previsti nella legge finanziaria venne sostanzialmente dimezzato il numero di insegnanti sia di educazione tecnica che di educazione fisica.

Da quel momento la pratica scomparve completamente: solo teoria.

Ma se è vero, come a volte purtroppo è vero, che al peggio può non esserci mai fine, arriviamo alla recente e contestata riforma emanata dal governo di centro-destra presieduto da Silvio Berlusconi e firmata dalla ministro all’istruzione, università e ricerca scientifica, Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti.

Si tratta della legge nr. 53 del 28 marzo 2003 resa applicativa dal DL nr. 59 del 23 gennaio 2004.

Con questa nuova riforma la “educazione tecnica” scompare, al suo posto compare una nuova materia denominata “tecnologia” che viene compresa all’interno dell’insegnamento di matematica e scienze.

Il primo effetto provocato è ovviamente tra gli insegnanti di educazione tecnica (oltre 20.000) che si ritrovano senza cattedra. Il secondo lo provoca invece in noi, nostalgici delle applicazioni tecniche, che dobbiamo assistere alla inesorabile e impietosa cancellazione anche del concetto di “tecnico” dal programma scolastico.

Non solo.

Con la riforma Moratti l’orario scolastico passa da 990 ore annue (30 settimanali) a 891 (27 settimanali) e la prima conseguenza non poteva essere che la riduzione delle tre ore di educazione tecnica in una sola ora di tecnologia, obbligatoria per il primo anno e facoltativa per gli anni successivi.

Nell’allegato C della legge vengono poi chiariti gli obbiettivi specifici di apprendimento, con un approfondimento sui contenuti di ogni singola materia di studio.

Qui si capisce che cosa impareranno i ragazzi frequentando l’ora settimanale di tecnologia. Riportiamo fedelmente:

Obbiettivi specifici di apprendimento per le classi 1° e 2°

I settori dell’economia (riconoscere ed analizzare il settore produttivo di provenienza di oggetti presi in esame).

La transizione dall’industriale ai sistemi biodigitali (riconoscere, analizzare e descrivere oggetti, utensili, macchine, impianti, reti e assetti territoriali nelle loro procedure costruttive, nelle loro parti, nella loro contestualizzazione e in base alla loro sostenibilità/qualità sociale. Rappresentare graficamente un oggetto in modo intuitivo o con il supporto di mezzi tecnologici, applicando regole delle proiezioni ortogonali e forme elementari di assonometria. Individuato un bisogno, realizzare il modello di un sistema operativo per soddisfarlo, seguendo la procedura: ideazione-progettazione, rappresentazione, realizzazione,  collaudo –
produzione, dismissione, riciclo).

Principi di economia domestica (individuare e praticare esperienze di design, cucitura, tessitura e ricamo per scopi funzionali ed estetici. Costruire bozzetti o modelli riferiti ad oggetti d’uso comune, dai vasi ai tessuti ai vestiti, utilizzando materiali elementari e di facile uso. Esercitare attività di decorazione e grafica su modelli volumetrici).

Obbiettivi specifici di apprendimento per la classe 3°

Modalità di produzione di e di trasformazioni tra differenti tipi di energia (formulare ipotesi per il risparmio energetico ed analizzare le tecnologie esistenti già in grado di attuarlo).

Modalità di utilizzazione (rappresentare in modelli semplificati le principali tipologie di generatori di  energia).

Le fonti non rinnovabili e rinnovabili. Lo spreco energetico  (riconoscere il ruolo delle ecotecnologie per i punti critici della sostenibilità (depurazioni, smaltimento, trattamenti speciali, riciclo, riusi, ecc.).

Le conseguenze dell’uso dell’energia sulle componenti dell’ecosistema (utilizzare il disegno tecnico – proiezioni ortogonali e assonometrie – per la progettazione e la realizzazione di modelli di oggetti in generale – bricolage, modellismo, ecc. –  o riferibili all’energia e al suo uso. Leggere e comprendere alcuni semplici disegni tecnici, in particolare planimetrie di manufatti ed assonometrie di componenti meccaniche).

Molta teoria, a tratti anche un po’ fumosa nelle sue definizioni.

Ritorna l’economia domestica con il taglio, il cucito e il ricamo, ma nel terzo anno troviamo addirittura le parole bricolage e modellismo.

Per concludere riteniamo che, se si considera l’attenzione che la scuola italiana ha dedicato negli ultimi 50 anni alla tecnica e alla manualità, non si possa pretendere di avere una popolazione incline e preparata a montare un lampadario al soffitto oppure a verniciare una finestra in legno o a sostituire una piastrella sbeccata.

Operazioni molto semplici, che potrebbero essere eseguite con poche cognizioni di base che, però, se sono assenti, rendono impossibile o quantomeno improbabile anche il solo approccio.

Per fortuna molte catene di grande distribuzione specializzata nel bricolage organizzano corsi in cui spiegare le tecniche più elementari per affrontare gli interventi più comuni.

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2 risposte a “Che fine hanno fatto le applicazioni tecniche?”

  1. Avatar photo Pierluigi Mura ha detto:

    Penso che sviluppare un buon livello di manualità sia un buon antidoto alla disoccupazione. È provato che dove ci sono altilivelli di manualità c’ è scarsa disoccupazione