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QUELLO CHE SEGUE È IL CAPITOLO 16 DEL LIBRO “TIME OUT: UN MOMENTO DI RIFLESSIONE SULLA TV SATELLITARE, INTERNET E IL DIGITALE TERRESTRE TRA TECNOLOGIA, POLITICA E CONTENUTI”, SCRITTO DA MAURO MILANI NEL 2005.

Il mix tra pigrizia e delusione ha evidentemente portato molti manager del marketing e della comunicazione italiani a trascurare internet non cogliendo le opportunità che esso avrebbe potuto offrire e che comunque in futuro fornirà.

Prima tra tutte quella rappresentata dall’e-commerce. Pur se con un approccio e con motivazioni diverse anche gli Stati Uniti hanno vissuto gli anni della sfiducia nel settore internet. Quando la Forrester Research in una sua ricerca del 1999 parlava di un mercato e-commerce che avrebbe raggiunto nel 2003 i 108 miliardi di dollari, in molti pensarono che fossero pazzi. In realtà, ora che il 2003 è passato, sappiamo che il giro d’affari dell’e-commerce è stato intorno ai 96 miliardi di dollari. Non erano poi così pazzi.

Per avere un’idea più precisa del fenomeno preferisco però rifarmi alla “Top 300 Guide” di Internet Retailer (sito web specializzato nell’analisi del mercato dell’e-commerce americano), che prende in considerazione un campo più ristretto (le prime 300 società americane di e-commerce) e quindi più facilmente decodificabile per noi che vogliamo capire cosa succederà in Italia tra un paio di anni.

Qualche dato generale: nel 2003 questi magnifici 300 hanno generato un giro d’affari di oltre 40 miliardi di dollari; il numero di visite registrate è stimato in 11,4 miliardi di utenti, tra questi ben 435 milioni hanno portato a termine un acquisto on line con un carrello medio che ha raggiunto i 92 dollari.

Ovviamente i siti e-commerce con il giro d’affari più significativo (29% sul totale) sono quelli che potremmo definire, riprendendo il termine dalla distribuzione tradizionale, “generalisti“, cioè che offrono prodotti di varie categorie merceologiche diverse.

A guidare questa classifica, ma anche la Top 300 in generale, c’è Amazon.com con un giro d’affari, nel 2003, di 5,26 miliardi di dollari. Al secondo posto troviamo la società informatica Dell con un giro d’affari on line di 2,8 miliardi di dollari.

Amazon ha raggiunto risultati così importanti anche perché ha localizzato il proprio sito, con grande successo, in Gran Bretagna, Germania, Francia e Giappone, mercati che hanno contribuito per poco meno di un quinto del fatturato totale della società. Quello che è importante rilevare rispetto ad Amazon è che il fatturato sviluppato, grazie alla crescita sia interna che internazionale, ha consentito, per la prima volta, di chiudere il bilancio con un profitto netto di 35 milioni di dollari (nel 2002 si era chiuso in rosso di 149 milioni).

Un bell’esempio di costanza e di perseveranza. Al di là del fenomeno Amazon, nei Top 300, siano essi generalisti o specializzati, la categoria merceologica di maggior successo è, ovviamente, quella che comprende i prodotti informatici, tecnologici ed elettronici, che rappresenta il 27% del totale vendite.

Molto interessante è invece la forte crescita fatta registrare dal settore abbigliamento: nella classifica 2003 i siti specializzati nella vendita on line di capi e accessori per l’abbigliamento sono stati 70, con un volume d’affari complessivo di 3,3 miliardi di dollari, pari al 9% del totale delle vendite on line.

Michael Gold, analista della Sri Consulting and Business Intelligence: “Ci sono tre tipi di attività che appaiono vincenti su Internet. La prima è quella dei siti che consegnano al cliente un prodotto senza confezione: biglietti di viaggio, servizi bancari o tutto quello che si può consegnare per via digitale. Il secondo comprende i prodotti che possono essere portati al destinatario in un piccolo pacchetto, come i libri e i cd. Il terzo, più di nicchia, è costituito dai prodotti rari: scarpe fuori misura, libri introvabili e via dicendo“.

Oltre a Jeff Bezos, inventore della già citata Amazon.com, gli altri grandi campioni dell’e-commerce oltre oceano sono Barry Diller, a capo di un vero “universo” internet con la sua USA Interactive e Meg Whitman, che guida E-Bay (se volete saperne di più di questi personaggi dovete semplicemente vincere la pigrizia e chiedere al vostro motore di ricerca preferito cosa trova nel web su di loro. Scoprirete una miniera di informazioni e di curiosità, interessanti e assolutamente godibili. Ve lo consiglio).

A fronte dei settori generalmente compresi nel non food che fanno registrare buoni e ottimi trend di crescita, bisogna annotare un certo ritardo del settore alimentare. L’alimentare ha trovato da subito buoni benefici in internet per la vendita di quelli che Gold definisce “prodotti rari“, per il resto le aziende alimentari propongono generalmente normali siti che corrispondono di solito a normali cataloghi.

Solo oggi cominciamo a vedere qualche multinazionale che usa internet per fare comunicazione, mentre le catene di grande distribuzione, dopo un approccio piuttosto timido, cominciano ad offrire servizi ai clienti tramite il proprio sito. Ma di strada bisogna percorrerne ancora molta.

Quando parlo di “prodotti rari” per il comparto alimentare, alludo a prodotti difficilmente acquistabili nel negozio sotto casa oppure nel supermercato che si frequenta per la spesa del sabato. Prodotto raro è la vera mozzarella campana, è il pecorino di fossa della Maremma, è la salsiccia di cinghiale toscana, è la soppressa veneta, è la salsiccia secca di Monzuno, il prosecco della Valdobbiadene e qui mi fermo perché l’Italia è una miniera di prodotti alimentari artigianali straordinari e quindi se non mi fermassi potrei riempire pagine di meravigliosi esempi.

Quello su cui conta riflettere è che i prodotti che ho citato, se sono rari per tanti italiani che abitano in Italia, figuriamoci per i tanti italiani che abitano all’estero o per i tanti stranieri che hanno avuto la possibilità di deliziarsi durante le vacanze sulle nostre spiagge e sulle nostre montagne.

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