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La cultura del Customer Care

a cura di Avatar photo

Però, a questo punto, una domanda è lecita: se esiste un “dovere di garantire che tutti gli interessi abbiano la stessa dignità” perché non è mai stato fatto, quasi, nulla in tal senso e perché a tutt’ogginon si intravede la volontà di adempiere a questo dovere?

Pur se con tutte le ragioni, sarebbe troppo facile rispondere a questa domanda parlando di soldi, di politica e di controllo dei media, in realtà quella che manca in Italia è la cultura del “customer care“, non c’è rispetto per il consumatore.

Il vecchio motto secondo cui “il cliente ha sempre ragione” (affermazione peraltro non reale) si ferma alle forze vendita delle aziende che considerano propri clienti i rivenditori e la grande distribuzione, il consumatore è tagliato fuori.

Il consumatore in Italia deve spendere i propri soldi senza rompere le scatole. Questa postura di chi eroga prodotti e servizi è presente in ogni comparto merceologico, compreso il mercato televisivo.

In Italia il “numero verde” gratuito, normalmente messo a disposizione della clientela per informazioni, richieste e proteste si è diffuso negli anni ’90 in una logica di marketing, non di servizio.

Per dirla in maniera brutale: gli uffici marketing delle aziende hanno ritenuto che non poter stampare sulle confezioni dei prodotti o indicare nelle campagne pubblicitarieil numero verde potesse essere un minus rispetto alla concorrenza.

Ma il far funzionare il numero verde trasformandolo in un vero servizio di customer care è tutto un altro paio di maniche.

Così oggi sono molti i numeri verdi a cui si telefona inutilmente perché non rispondono mai, perché sono sempre  inverosimilmente occupati, perché risponde il fax.

Se poi si ha la fortuna di riuscire a parlare con qualcuno si scopre come la formazione del personale in Italia sia ancora una chimera.

Nella migliore delle ipotesi ti dicono “mi dispiace”, nella peggiore puoi essere trattato come un seccatore.

Non è sempre così, io sono un cliente Omnitel e il loro customer care è eccellente, però spesso, troppo spesso non è così.

Vi siete mai chiesti perché il bricolage in Italia non è mai decollato e solo negli ultimi anni sta diventando una significativa realtà mercantile.

I motivi sono molti, ma il più importante è da ricercare nel fatto che la distribuzione tradizionale di viti, martelli, trapani, vernici e di tutti gli altri prodotti necessari per fare da sé, cioè le ferramenta e i colorifici, hanno sempre vissuto il consumatore privato come colui che “fa perdere tempo“.

Le ferramenta sono abituate a servire artigiani, piccole imprese, officine, tutte realtà che acquistano il chilo di chiodi.

Un povero privato che deve appendere un quadro su una parete di casa, perbacco, ne può acquistare una decina, massimo una ventina di chiodi, giusto per fare un favore al rivenditore, ma sicuramente non di più.

Ecco che il tempo dedicato a questo cliente non è proporzionato, secondo le ferramenta, al guadagno fatto con la vendita (non importa se il giorno dopo lo stesso cliente potrebbe entrare nel negozio per acquistare un trapano e una smerigliatrice, in
quel momento è un seccatore che fa perdere tempo).

La salvezza è stata la nascita della grande distribuzione specializzata nel bricolage: i Brico Center del Gruppo Rinascente, i francesi Castorama e Leroy Merlin, i tedeschi OBI e molti altri ancora.

Una salvezza non certo perché nella grande distribuzione ci sia un’attenzione particolare al consumatore, ma perché quanto meno, trattandosi di vendita a libero servizio ci si può aggirare tra le corsie, gli scaffali e i reparti a guardare i
prodotti senza sentire l’imbarazzo di sentirsi di troppo.

E’ probabilmente sulla base di mettere un freno al consumatore/seccatore che molte aziende oggi hanno trasformato ilcontatto con il cliente in un servizio a pagamento.

Si tratta semplicemente di cambiare logica: invece di adottare il numero verde gratuito ci si orienta verso un numero a pagamento.

Un’operazione banale che però consente quanto meno di recuperare dei soldi a frontedella seccatura di dover stare a sentire le persone che comprano o che vorrebbero comprare il tuo prodotto.

E’ un fenomeno diffuso ormai, lo adotta Sky Italia, l’Alitalia, compagnia aerea di bandiera (che con i problemi che si trova a dover risolvere forse farebbe bene a tenersi cari i clienti), e molti altri ancora.

Purtroppo la stessa mentalità la ritroviamo anche nel mondo della comunicazione, dove il cliente da ossequiare è chi gestisce i budget e commissiona la campagna pubblicitaria, il sito internet, l’immagine coordinata dell’azienda.

Il destinatario della comunicazione se è il consumatore è il “popolo bue“, al quale basta far vedere due tette o fare una battuta volgare e il gioco è fatto.

Ma che il tempo dei film di Carosello è finito ho già avuto modo di ricordarlo, quello che voglio sottolineare adesso è che all’interno di una mentalità dominante come quella che ho descritto è difficile proporre, progettare e sperimentare
nuove frontiere della comunicazione e quindi parlare di televisione tematica e di interattività.

Oggi è più semplice vendere le grandi novità offerte dallo sviluppo tecnologico, del contenuto, cioè della vera offerta da fare al pubblico si parlerà più avanti.

Quando qualche rompi scatole si accorgerà del trucco.

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