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SAGA
Informazione sul DIY in Italia

La crisi economica degli ultimi anni ha dato l’impulso all’elaborazione di tendenze intellettuali che vedono nella decrescita, nel riuso, riutilizzo e riciclo e nell’autoproduzione concetti imprescindibili per la società di domani.

Quando parliamo di decrescita alludiamo a quella scuola di pensiero che fa capo a Serge Latouche, professore emerito dell’Università di Paris Sud e stimato studioso di antropologia economica, che con la sua “scommessa della decrescita” sostiene due concetti di base: il primo riguarda la consapevolezza che una crescita infinita in un pianeta dalle risorse limitate è una contraddizione nei termini; il secondo invece mette in evidenza come il Pil (Prodotto Interno Lordo) non possa essere adottato, come invece spesso accade, come strumento di misura del benessere di un Paese, ma eventualmente del ben-avere.

In Italia sul tema è nato il movimento della “Decrescita Felice” che trova negli scritti di Maurizio Pallante un punto di riferimento.

Cavallo di battaglia, soprattutto del movimento italiano, è lo stimolo all’autoproduzione, soprattutto alimentare, ma non solo.

Fuori dal movimento della decrescita, ma altrettanto importante e in rapida diffusione troviamo la teorizzazione del riuso e riutilizzo dei vecchi oggetti, spesso considerati a fine vita.

Alludiamo all’attività di diversi intellettuali sul tema, tra i quali citiamo Antonio Galdo (“Non sprecare” edizione Gli Struzzi Einaudi) o Guido Viale (“La civiltà del riuso” Editori Laterza).

La cultura del riuso

Proprio Guido Viale esprime nel suo libro un concetto che, per noi operatori del mondo del bricolage, risulta tanto interessante quanto vecchio:

“… la cultura del riuso sembra pertanto imprescindibile dalla cultura della manutenzione, al punto che le due cose possono essere trattate come un’unica modalità di rapportarci alle cose del mondo. … La cultura della manutenzione e le competenze tecniche e manuali per sostenerla impregnano e consentono il ricorso all’usato in tutti quei casi che rappresentano la forma più tradizionale di prolungamento o duplicazione della vita di un oggetto: cioè quando per garantirne la funzione occorre ripararlo.”

L’assenza del bricolage

Il problema che vogliamo sottolineare è che in tutto questo fermento intellettuale che vede le attività di bricolage, nei fatti, centrali rispetto alla messa in pratica di tutte queste teorie, il bricolage stesso, in quanto pratica operativa non viene mai citato, la parola bricolage, o fai da te che dir si voglia, non trova spazio in nessuna riga dei tanti libri che abbiamo letto in proposito.

Si parla di autoproduzione, di autocostruzione ma mai di bricolage o di fai da te.

Questa assenza ci sollecita due riflessioni diverse: da un lato l’immagine e il vissuto della pratica del bricolage sono evidentemente ancora o sconosciuti o, peggio, snobbati dal mondo intellettuale, che parla di autocostruzione senza avere quel minimo fondamento tecnico per dare sostanza operativa a questo termine.

Dall’altro dobbiamo riscontrare una indiscutibile disattenzione di gran parte dei manager del settore alle elaborazioni delle nuove tendenze sociali: nuove tendenze in cui il bricolage e le sue espressioni produttive e distributive potrebbero e dovrebbero avere un ruolo centrale.

E’ attraverso la pratica del bricolage che autocostruzione e riutilizzo possono trasformarsi da parole e concetti più o meno astratti in proposta concreta e operativa.

Gli intellettuali devono scendere dal piedistallo e prendere in mano un martello, mentre i manager devono ritrovare la curiosità intellettuale dei primi anni della professione e partecipare ai dibattiti in atto portando il contributo di un settore fondamentale per affrontare la crisi economica con un progetto culturale e imprenditoriale di lungo termine.

Nella foto: Serge Latouche

Settembre 2010

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