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Il fornitore non è un bancomat

a cura di Avatar photo

È un cognome che fa parte della storia del bricolage italiano perché quando nei primi anni ’80 La Rinascente iniziò a prendere in considerazione la possibilità di organizzare una proposta distributiva moderna (quella che sarebbe diventata l’insegna Brico Center – n.d.r.) per i consumatori dei prodotti per il fai da te, decise di farlo sfruttando le esperienze e il know how della catena belga Brico (oggi con 120 negozi è la più importante realtà distributiva del Belgio e insieme alle insegne olandesi Formido e Praxis rappresenta il fronte bricolage del Gruppo Maxeda).

L’intermediario (in nome del consolato del Belgio di Milano) che portò il know how belga al gruppo di lavoro italiano fino all’apertura del primo Brico Center di Venaria Reale, alle porte di Torino, fu Noel van Innis.

Fu proprio in quegli anni che il giovanissimo Bernard van Innis, figlio di papà Noel, iniziò a masticare la lingua italiana e il mercato italiano del bricolage.

Il bricolage e l’Italia avrebbero segnato la sua vita professionale di adulto: per 12 anni è stato buyer di Brico in Beglio e dal dicembre 2006 fino al dicembre 2008 ha ricoperto il ruolo di direttore marketing alla italiana Lavorwash.

Un’esperienza professionale quindi su entrambi i fronti, la grande distribuzione e l’azienda di produzione, che ci è estremamente utile per fare un’analisi specifica sul nostro settore, relativamente a questo difficile momento economico e finanziario.

Prima di tutto parliamo di lei.

Conclusa l’esperienza Lavorwash che cosa bolle in pentola?
In primis, vorrei sottolineare che la mia esperienza professionale italiana con Lavorwash è stata fantastica, ricca di stimoli e di soddisfazioni. Una volta conclusa, nel dicembre scorso, ho deciso di dedicare una pausa a favore della mia famiglia che meritava una mia presenza continua e attiva. A questo punto certamente mi rimetto in gioco con la volontà di proseguire nella mia esperienza italiana, nel bricolage e possibilmente in un’azienda attiva nello sviluppo e la commercializzazione di prodotti destinati al Fai Da Te.

Stiamo vivendo un momento di crisi dei consumi con ripercussioni su tutte le parti in gioco: produzione, distribuzione tradizionale e grande distribuzione.

In questa particolare situazione che cosa le suggerisce la sua esperienza?
Se ne parla da molto tempo ma oggi più che mai sia le aziende che le insegne della distribuzione devono mettere al centro delle loro attenzioni il cliente. Il calo dei consumi porterà inevitabilmente ad un calo di numero di persone che frequentano i centri per il bricolage, quindi la battaglia tra le varie insegne nei prossimi mesi sarà orientata a erodere quote di mercato e quindi clienti alle insegne concorrenti. In questo senso credo che le strategie legate all’immagine-prezzo saranno determinanti. E’ forse proprio in questi momenti difficili che è opportuno pensare ad innovare, anche nella comunicazione. Il vecchio volantino per esempio, forse deve essere ripensato. Ritengo che campagne a più ampio respiro dove si costruisce una promozione per una famiglia di prodotto e non per singoli prodotti e magari si spiega che si tratta di un accordo virtuoso fatto con una serie di fornitori, oggi si potrebbero rivelare più efficaci. Altra alternativa di comunicazione può essere rappresentata da un ritorno al vecchio motto:”chi fa per se fa per tre” in modo di far capire al cliente finale che tramite il Fai da Te, si risparmia.

Il concetto di “spiegare” al consumatore è in effetti un approccio inconsueto.

Ritiene che sia una necessità che deriva da un cambiamento delle caratteristiche del cliente di prodotti per il bricolage?
Non esattamente, i clienti consolidati sono ormai generalmente evoluti, preparati e informati. Spiegare le proprie strategie, per loro è una forma di rispetto e di coinvolgimento. E’ possibile poi, che proprio a causa della crisi, si avvicinino al bricolage persone che prima si sono sempre affidate agli artigiani e che quindi hanno scarse conoscenze e bassa manualità. Per loro l’informazione e la creazione di un rapporto fiduciario è fondamentale se si vuole fidelizzarli. In questo caso è importante una strategia comunicazionale molto attenta, ma è anche fondamentale che i commessi e i responsabili di reparto siano sensibili e pronti a risolvere i loro dubbi, le loro esigenze e a consigliarli sugli acquisti migliori, tenendo sempre ben presente la soluzione del loro problema. Bisogna stimolare la voglia del cliente di comprare e quindi riscoprire l’importanza dell’acquisto ad impulso, che è l’unico modo per tentare di elevare il valore medio del carrello. Penso per esempio alle tecniche di cross merchandising, molto ben applicate da OBI.

Veniamo ora al concetto contenuto nel titolo di questa intervista “il fornitore non è un bancomat”.

Il momento è critico e da più aziende fornitrici si avverte una certa difficoltà nella gestione del rapporto con le insegne sia della grande distribuzione che di quella tradizionale: spostamenti dei pagamenti, ritardi e richieste sempre più impegnative per aziende che, anch’esse stanno soffrendo la crisi congiunturale.

Quali riflessioni si possono fare in questo senso?
In questo periodo le centrali d’acquisto hanno chiesto o stanno chiedendo prolungamenti dei pagamenti che, in sé potrebbe anche essere una procedura lecita, purché avvenga sempre a fronte di un approfondito confronto con i fornitori, i quali soffrono, anch’essi di seri problemi finanziari. Quella che stiamo vivendo non è una crisi “classica”, ci sono elementi mai vissuti prima e l’intensità del momento di difficoltà è fortissima. In questo contesto le catene che hanno problemi finanziari si limitano a bloccare le aperture di nuovi punti di vendita, un’azienda produttiva invece, costretta a pagare le materie prime in tempi brevi e con le banche che hanno ridotto le linee di credito, può anche arrivare ad un’inevitabile chiusura dell’attività.

Quindi il momento di crisi va affrontato insieme, produzione e distribuzione?
Certamente. Mai come oggi la parola partner ha un senso. Le catene della grande distribuzione, secondo il mio punto di vista, devono tutelare i propri fornitori e con loro trovare le giuste modalità per gestire il momento difficile. In caso contrario si rischia di uccidere il fornitore o comunque di perderlo, il che è un’ipotesi sicuramente non vantaggiosa per nessuno. Sostituire un fornitore non è una cosa semplice e nemmeno automatica: si rischia di provocare danni al merchandising, di ritrovarsi con metri vuoti e probabilmente non si garantisce al consumatore quel 95% di livello di servizio necessario per non creare scontenti. Tutte queste negatività hanno un costo che deve essere tenuto in grande considerazione prima di fare passi avventati con i fornitori.

Se ciò che ha descritto è ciò che si dovrebbe fare significa che in Italia invece non si fa così?
Personalmente ho l’impressione che in Italia non ci sia il giusto livello di attenzione al consumatore. In un futuro prossimo il sogno è quello di avere meeting tra Buyer è Key Account Manager dove si parla maggiormente di coerenza di gamma, customer need, concetti merchandising, tasso di servizio … piuttosto che vedere tutta l’energia concentrata su prezzi e pagamenti. La distribuzione e la produzione devono lavorare mano nella mano perché entrambi nutrono un obiettivo comune: il customer satisfaction. Questa è la vera garanzia dei loro fatturati e profitti. L’utile della GDO proviene da varie componenti, una di queste è quella finanziaria, ma non è l’unica e se si guarda solo a quella si sbaglia.

Marzo 2009

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